Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, il quale, nell'esercizio delle funzioni o del servizio(1), giovandosi dell'errore altrui(2), riceve o ritiene indebitamente, per sé o per un terzo(3), denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000(4)(5).
Note
(1)
A differenza della fattispecie carattere generale del peculato (v. 314), qui l'esercizio delle funzioni o del servizio non costituisce la ragione del possesso, ma solo un momento cronologico all'interno del quale deve concretizzarsi la condotta tipica.
(2)
Giovarsi dell'errore altrui significa approfittare di una preesistente falsa rappresentazione del terzo tale da mettere il soggetto agente nella condizione di poter consumare il reato. L'errore che genera l'appropriazione può discendere da qualsiasi causa, ma non può essere prodotto volontariamente, ovvero con dolo, dal soggetto.
(3)
A differenza del peculato di cui all'art. 314 non è richiesto il requisito del preesistente possesso e la condotta consiste nel ricevere, ovvero accettare quanto viene per errore dato o reso disponibile, oppure nel ritenere, cioè non restituire.
(4)
Comma aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. a) del D. Lgs. 14 luglio 2020, n. 75.
(5)
Il D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, come modificato dalla L. 17 ottobre 2017, n. 161, ha disposto (con l'art. 71, commi 1 e 3) che le pene stabilite per il delitto previsto dal presente articolo sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione personale durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione. Alla pena è aggiunta una misura di sicurezza detentiva.