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Articolo 47 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 07/01/2025]

Effetti della richiesta

Dispositivo dell'art. 47 Codice di procedura penale

1. In seguito alla presentazione della richiesta di rimessione il giudice può disporre con ordinanza la sospensione del processo fino a che non sia intervenuta l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la richiesta. La Corte di cassazione può sempre disporre con ordinanza la sospensione del processo(1)(2).

2. Il giudice deve comunque sospendere il processo prima dello svolgimento delle conclusioni e della discussione e non possono essere pronunciati il decreto che dispone il giudizio o la sentenza quando ha avuto notizia dalla Corte di cassazione che la richiesta di rimessione è stata assegnata alle sezioni unite ovvero a sezione diversa dall'apposita sezione di cui all'art. 610, comma 1. Il giudice non dispone la sospensione quando la richiesta non è fondata su elementi nuovi rispetto a quelli di altra già rigettata o dichiarata inammissibile(3)(4).

3. La sospensione del processo ha effetto fino a che non sia intervenuta l'ordinanza che rigetta o dichiara inammissibile la richiesta e non impedisce il compimento degli atti urgenti.

4. In caso di sospensione del processo si applicano l'articolo 159 del codice penale e, se la richiesta è stata proposta dall'imputato, sono sospesi i termini di cui all'articolo 303, comma 1. La prescrizione e i termini di custodia cautelare riprendono il loro corso dal giorno in cui la Corte di cassazione rigetta o dichiara inammissibile la richiesta ovvero, in caso di suo accoglimento, dal giorno in cui il processo dinanzi al giudice designato perviene al medesimo stato in cui si trovava al momento della sospensione. Si osservano in quanto compatibili le disposizioni dell'articolo 304.

Note

(1) Articolo così sostituito dall'art. 1, comma 2 della l. 7 novembre 2002 n. 248.
(2) La legge Cirami ha introdotto un'importante novità in quanto prevede, in determinate ipotesi, la sospensione del processo: prima infatti non era consentita la sospensione del predetto se non tramite intervento della Cassazione (intervento che , tuttavia, non impediva venissero compiuti gli atti urgenti). L'attuale previsione di legge, oltre a consentire la disposizione della sospensione alla Suprema Corte, riconosce anche al giudice di merito tale facoltà. Quest'ultimo la può disporre con ordinanza, una volta che sia stata presentata istanza di rimessione. La sospensione può essere disposta fintanto che non sia emessa l'ordinanza con cui si dichiara inammissibile o si rigetti la predetta istanza.
(3) Nella previgente formulazione dell'art. 47 c.p.p., il giudice non solo non aveva il potere di sospendere il giudizio, ma poteva giungere sino alla decisione nel merito. La corte costituzionale interveniva con sentenza n. 353 del 22 ottobre 1996 dichiarando costituzionalmente illegittimo tale comma nella parte in cui non consentiva al giudice di pronunciare la sentenza fino a che la corte non avesse dichiarato inammissibile o avesse rigettato la richiesta di rimessione. Si verificava, infatti, un errato utilizzo dell'istituto poiché le domande di rimessione venivano inutilmente reiterate. Ora, invece, la sospensione diviene obbligatoria quando il processo giunge alla fase conclusiva della discussione. Il giudice, peraltro, non può emettere sentenza non dal momento della presentazione dell'istanza di remissione e fino al suo respingimento, quanto dal momento in cui ha avuto notizia, dalla cassazione, che la richiesta è stata assegnata ad una sezione della cassazione diversa da quella di cui all'art. 610 c.p.p.
(4) Per evitare inutili reiterazioni della domanda di rimessione, la nuova formulazione dell'art. 47 non consente al giudice di sospendere il processo se la domanda si fonda su elementi identici rispetto a quelli di un'altra già rigettata o dichiarata inammissibile.

Spiegazione dell'art. 47 Codice di procedura penale

La norma in esame disciplina gli effetti della richiesta di rimessione del processo.

Bisogna premettere che, ai sensi dell’art. 46 del c.p.p., dopo la presentazione della richiesta di rimessione, il giudice procedente trasmette l’istanza (con i documenti allegati ed eventuali osservazioni) alla Corte di Cassazione.

Ebbene, in primo luogo, il comma 1 dell’art. 47 c.p.p. precisa che la richiesta di rimessione non determina la sospensione automatica del processo. Infatti, in attesa della decisione della Cassazione sulla richiesta di rimessione, il giudice di merito può discrezionalmente disporre, con ordinanza, la sospensione del processo. Allo stesso modo, la Suprema Corte può sempre disporre, con ordinanza, la sospensione del processo.

A tal riguardo, occorre ricordare che, in passato, soltanto la Corte di Cassazione poteva disporre la sospensione del processo, mentre ora è lo stesso giudice procedente che, in seguito alla presentazione della richiesta, può disporre la sospensione fino a che non intervenga l’ordinanza che sancisca l’inammissibilità o il rigetto della richiesta di rimessione.

Come evidenziato da autorevole dottrina, nel silenzio del legislatore, i presupposti della sospensione facoltativa sono i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora.

Il comma 2 dell’art. 47 c.p.p. prevede che, nel caso in cui il processo non sia stato interrotto, ci sia comunque la sua sospensione obbligatoria da parte del giudice quando ha avuto notizia dalla Cassazione che la richiesta di rimessione è stata assegnata alle sezioni unite oppure ad una sezione diversa dalla c.d. sezione-filtro di cui al comma 1 dell’art. 610 del c.p.p. (sul punto, si ricorda che l’assegnazione della richiesta alla sezione-filtro si ha quando il presidente della Corte abbia rilevato, nell’ambito del suo esame preliminare, una causa di inammissibilità dell’istanza).

Dunque, in seguito a tale comunicazione, il giudice procedente deve sospendere il processo prima dello svolgimento delle conclusioni (in sede di udienza preliminare) o prima della discussione (in sede di dibattimento) e non può pronunciare il decreto che dispone il giudizio o la sentenza.

Peraltro, sempre ai sensi del comma 2 dell’art. 47 c.p.p., la sospensione è esclusa quando la richiesta non è fondata su elementi nuovi rispetto a quelli di una precedente richiesta rigettata o dichiarata inammissibile.

Ancora, i commi 3 e 4 precisano la durata e gli effetti della sospensione del processo.

Per un verso, il comma 3 dell’art. 47 c.p.p. stabilisce che la sospensione del processo ha effetto fino a quando la richiesta di remissione non sia decisa. Tuttavia, nonostante la sospensione, è comunque consentito il compimento degli atti urgenti.

Per altro verso, il successivo comma 4 disciplina gli effetti della sospensione del processo sul decorso della prescrizione del reato e dei termini di custodia cautelare:
  • da un lato, la norma precisa che, in caso di sospensione del processo, i termini della prescrizione del reato sono sospesi. A tal riguardo, bisogna evidenziare che l’art. 47 c.p.p. rinvia all’art. 159 del c.p. il quale, a sua volta, afferma chiaramente il parallelismo sussistente tra la sospensione della prescrizione e la sospensione del processo prevista da una particolare disposizione di legge. Atteso che l’articolo in commento rappresenta proprio una particolare disposizione di legge, alla stessa consegue, quindi, la sospensione della prescrizione, a prescindere dal soggetto richiedente la rimessione del processo;
  • dall’altro lato, la norma stabilisce che, in caso di sospensione del processo, se la richiesta di rimessione è stata presentata dall’imputato, sono sospesi anche i termini di durata massima della custodia cautelare previsti dal comma 1 dell’art. 303 del c.p.p..

Questi termini riprendono a decorrere a partire dal giorno in cui la Corte dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di rimessione; nel caso di accoglimento dell’istanza, tali termini riprendono il loro corso dal giorno in cui il processo dinanzi al giudice designato perviene al medesimo stato in cui si trovava al momento della sospensione.

Massime relative all'art. 47 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 6128/2009

La sospensione del processo, conseguente alla presentazione da parte di uno solo dei coimputati della richiesta di rimessione, si estende a tutte le posizioni processuali e al computo dei termini di custodia cautelare per ciascun imputato. (Rigetta, Trib. lib. Cagliari, 22 agosto 2008).

Cass. pen. n. 14451/2003

In tema di rimessione del processo, il momento nel quale interviene l'ordinanza della Corte di cassazione che decide sulla relativa istanza coincide con quello nel quale la deliberazione collegiale è assunta e resa nota mediante la comunicazione del dispositivo e non con quello del deposito della motivazione. (Nella specie si è ritenuto che, essendo stata assunta la deliberazione di rigetto della richiesta di rimessione il 28 gennaio 2003, la sospensione del processo di merito a norma dell'art. 47, comma 3, c.p.p. fosse cessata a quella data e che legittimamente il processo medesimo fosse proseguito indipendentemente dal deposito della motivazione).

In tema di rimessione, l'istanza di sospensione del processo di merito presentata, ai sensi dell'art. 47, comma 1, c.p.p., alla Corte di cassazione va trattata e decisa con procedura de plano e non con quella camerale, in considerazione della natura cautelare del provvedimento richiesto, diretto a paralizzare con urgenza il pregiudizio, imminente e irreparabile, che potrebbe derivare dall'illegittima prosecuzione del processo principale in costanza del predetto procedimento incidentale.

Cass. pen. n. 6925/1995

Il giudice al quale sia stata presentata richiesta di rimessione del processo, ai sensi degli artt. 45 e 46 c.p.p., non può, perché funzionalmente incompetente, adottare pronuncia alcuna in relazione alla richiesta medesima, ma deve limitarsi a trasmetterla immediatamente alla Corte di cassazione, astenendosi dall'emettere la sentenza fino a che non sia intervenuta la relativa decisione: e ciò anche nelle ipotesi in cui l'inammissibilità o l'infondatezza della istanza siano rilevabili ictu oculi, ovvero nel caso in cui l'interessato abbia riproposto la istanza di rimessione dopo che la precedente sia stata rigettata o dichiarata inammissibile dalla Corte di cassazione; i suddetti obblighi del giudice, tuttavia, presuppongono l'esistenza di un atto avente i caratteri propri della richiesta di rimessione nei termini precisati dall'art. 45 c.p.p., con la conseguenza che non sono applicabili le disposizioni di cui agli artt. 46, terzo comma, e 47, primo comma, c.p.p., che li prevedono, qualora l'atto presentato sia privo della prescritta motivazione o provenga da soggetto non legittimato (quale, ad esempio, la parte civile), e con l'ulteriore conseguenza che, non potendo esso qualificarsi per quello che vorrebbe essere, al giudice è consentito constatarne la non corrispondenza al tipo previsto dalla legge.

La sentenza pronunciata in violazione del divieto posto dall'art. 47, comma 1, c.p.p., che inibisce al giudice di definire il giudizio finché non sia intervenuta l'ordinanza della Corte di cassazione che dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di rimessione del processo, è nulla solo nel caso in cui la Corte medesima abbia accolto l'istanza, mentre conserva piena validità tutte le volte che essa sia dichiarata inammissibile o rigettata: il predetto divieto, infatti, integra un temporaneo difetto di potere giurisdizionale, limitato alla possibilità di pronunciare la sentenza e condizionato alla decisione della Corte di cassazione dichiarativa della sussistenza delle condizioni per la rimessione del processo ad altro giudice, e quindi della competenza, con la conseguenza che la valutazione di validità o meno della sentenza irritualmente adottata avviene secundum eventum.

Qualora il giudice, cui sia stata presentata richiesta di rimessione del processo ai sensi dell'art. 45 c.p.p., abbia irritualmente provveduto a dichiarare l'inammissibilità, la Corte di cassazione, annullata l'ordinanza impugnata, può decidere direttamente nel merito dell'istanza, in applicazione del principio generale, desumibile dagli artt. 620, lett. i), e 621 c.p.p., secondo il quale, nel caso in cui altro giudice abbia pronunciato in materia di sua competenza la Corte procede all'annullamento senza rinvio e ritiene il giudizio.

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