Il comma 5 dell'art. 31 della Legge 183/2010 (c.d. collegato lavoro), che disciplina l'arbitrato presso la commissione di conciliazione. ha sostituito integralmente l'articolo in esame.
Il primo comma prevede che, in qualunque fase del
tentativo di conciliazione, ovvero, in caso di mancata riuscita, anche al termine di esso, le parti possono indicare la soluzione anche parziale sulla quale concordano, riconoscendo, quando è possibile, il
credito che spetta al lavoratore, e così accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia.
Nel conferire mandato per la risoluzione arbitrale della controversia, le parti devono indicare:
a) il termine, che non può comunque superare i sessanta giorni dal conferimento del mandato entro cui il
lodo deve essere emanato (spirato tale termine, l'incarico si intende revocato);
b) le norme che la commissione applica al merito della controversia, ivi compresa la decisione secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari.
Nell'arbitrato di equità la controversia può essere risolta in deroga alle disposizioni di legge, il che incide sulla stessa disciplina sostanziale del rapporto di lavoro, rendendola estremamente flessibile anche sul piano del rapporto individuale.
Sotto questo profilo, non può considerarsi garanzia sufficiente il generico richiamo che la norma fa al rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, in quanto tale rinvio non appare idoneo a ricomprendere tutte le ipotesi di diritti indisponibili, al di là di quelli costituzionalmente garantiti.
Ulteriori perplessità suscita l'estensione della possibilità di ricorrere a tale tipo di arbitrato anche in materia di
pubblico impiego, risultando in tal caso particolarmente evidente la necessità di chiarire se ed a quali norme si possa derogare senza ledere i princìpi di
buon andamento, trasparenza ed
imparzialità dell'azione amministrativa espressi all'
art. 97 Cost..
Il terzo comma dispone che il lodo emanato a conclusione dell'arbitrato, sottoscritto dagli arbitri ed autenticato:
-
produce fra le parti gli effetti di cui all’art. 1372 del c.c. ed al quarto comma dell’art. 2113 del c.c.. Secondo quanto previsto dall’art. 1372 c.c., il contratto ha forza di legge tra le parti, non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge e non produce effetti nei confronti dei terzi tranne che nei casi previsti dalla legge.
Il quarto comma dell’art. 2113 c.c., invece, sottrae la conciliazione avvenuta in sede di tentativo obbligatorio di conciliazione alla generale previsione di invalidità (prevista dai precedenti commi del medesimo articolo) delle rinunzie e della transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'
art. 409 del c.p.c. (per effetto di tale richiamo, dunque, anche l'arbitrato irrituale previsto dall'articolo in esame si sottrae a tale divieto).
b) acquista efficacia di
titolo esecutivo per effetto del provvedimento emesso dal giudice su istanza della parte interessata, e ciò malgrado l’
impugnazione;
c) è impugnabile secondo quanto previsto dall'
art. 808 ter del c.p.c..
Quest’ultima norma si occupa dell’arbitrato irrituale, e stabilisce che le parti possono, con disposizione espressa per iscritto, stabilire che, in deroga a quanto disposto dall'
art. 824 bis del c.p.c., la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale.
Il giudice competente secondo le disposizioni del libro I può annullare il lodo contrattuale nei seguenti casi:
1) se la convenzione dell'arbitrato è invalida, ovvero se gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai loro limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel corso del procedimento arbitrale;
2) in caso di arbitri non nominati secondo le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale;
3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro ex
art. 812 del c.p.c.;
4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo;
5) se, nel corso del procedimento arbitrale, non è stato osservato il principio del
contraddittorio.
Nell’ipotesi di lodo contrattuale non trova applicazione l'
art. 825 del c.p.c..
Il lodo reso dalla commissione di conciliazione può essere impugnato nei casi previsti dall'
art. 808 ter del c.p.c., nei limiti in cui possano trovare applicazione le cause di annullabilità in tale norma elencate, in unico grado dinanzi al Tribunale del lavoro nella cui
circoscrizione ha sede l'arbitrato.
Il richiamo all'art. 808 ter c.p.c. vale a connotare il procedimento qui disciplinato in termini di arbitrato irrituale.