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Articolo 281 septies Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Rimessione della causa al giudice monocratico

Dispositivo dell'art. 281 septies Codice di procedura civile

Il collegio, quando rileva che una causa, rimessa davanti a lui per la decisione, deve essere decisa dal tribunale in composizione monocratica, pronuncia ordinanza non impugnabile con cui rimette la causa davanti al giudice istruttore perché decida la causa quale giudice monocratico. La sentenza è depositata entro i successivi trenta giorni(1)(2).

Note

(1) La decisione del collegio non può essere contestata dalle parti, né dal giudice cui viene rimessa la decisione della causa.
Ci si chiede cosa debba fare il giudice monocratico dopo la rimessione. Secondo alcuni, dovrà limitarsi a pronunciare la sentenza; secondo altri autori, dovrà far nuovamente precisare le conclusioni alle parti.
(2) Il D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. "Riforma Cartabia"), come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, ha disposto (con l'art. 35, comma 1) che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti".

Spiegazione dell'art. 281 septies Codice di procedura civile

L’attribuzione delle cause di competenza del tribunale alla cognizione e decisione di due organi giudiziari diversi (giudice singolo e collegiale), ha reso necessaria l'emanazione delle relative norme di coordinamento, che si trovano appunto contenute negli articoli dal 281 septies al 281 nonies.

Tali norme riguardano sia il caso in cui il collegio venga investito di una causa di pertinenza del giudice unico (art. 281 septies) che quello inverso (art. 281 octies del c.p.c.), oltre che l'ipotesi di connessione tra cause riservate alla decisione del collegio e cause affidate alla decisione del giudice singolo (art. 281 nonies del c.p.c.).

A differenza di quanto previsto dal soppresso art. 274 bis, le norme sopra indicate hanno comportato l’eliminazione della figura del giudice istruttore nelle cause riservate alla decisione del tribunale in composizione monocratica.
Infatti, la norma in esame, nel disporre il rinvio della causa dal collegio al giudice istruttore, implica che il destinatario dell'ordinanza (non impugnabile) provveda, a norma dell'art. 281 septies, quale "giudice monocratico" e non più quale “giudice istruttore”.

Scopo della presente norma, così come dell'art. 281 octies del c.p.c., è quello di prevenire l'errore sulla ripartizione delle cause riscontrato dal collegio o dal tribunale monocratico al momento della decisione.
Occorre evidenziare che la questione dei rapporti tra il collegio e il giudice istruttore, in funzione di giudice unico, non possono mai riguardare la competenza (trattandosi di organi appartenenti al medesimo ufficio giudiziario), ma soltanto incidere sulla validità degli atti processuali compiuti.
In particolare, le questioni concernenti la composizione (monocratica o collegiale) del tribunale riguardano la costituzione dell'organo giudicante e pertanto dovrebbero ricadere sotto il regime dell'art. 158 del c.p.c..

Nel momento in cui la causa viene rinviata al collegio, può accadere che quest'ultimo organo rilevi, d'ufficio, che la causa non rientra tra quella che deve decidere ai sensi dell'art. 50 bis del c.p.c..
In tal caso, rimette la causa davanti al giudice istruttore, affinché provveda alla decisione.
La circostanza che la causa venga rinviata dal collegio al giudice unico non produce alcuna conseguenza sull'attività difensiva già svolta, la quale pertanto conserva piena validità (restano ferme tutte le preclusioni eventualmente maturate).

Il provvedimento reso dall'organo collegiale vincola il giudice e le parti, a differenza di quanto accade nell'opposta ipotesi disciplinata dall'art. 281 octies del c.p.c..
Pertanto, il giudice monocratico non può disattendere la decisione del collegio e dovrà comunque pronunciare sentenza, mentre le parti potranno far valere il loro dissenso in sede di impugnazione.
In tal senso si può argomentare dalla lettera della norma in esame, nella parte in cui si dice che il collegio decide “con ordinanza non impugnabile”.

In caso di rimessione dal collegio al giudice monocratico la causa non può retrocedere a fasi processuali anteriori a quella di decisione.
Il giudice istruttore, cui la causa è stata rimessa a norma dell'articolo in esame, deve limitarsi a pronunciare sentenza nei termini e con le modalità indicate dalle disposizioni richiamate, senza far ripetere, se già effettuate dinanzi al collegio di cui fa parte, le attività di precisazione delle conclusioni, di scambio degli atti defensionali finali e la discussione orale.

In contrario, altra parte della dottrina ritiene che il giudice istruttore dovrebbe far precisare nuovamente le conclusioni, così onerando le parti alla rinnovazione delle attività defensionali già compiute, argomentando dalla considerazione secondo cui la diversa qualificazione data dal collegio alla causa porta con sé la necessità di una modifica delle conclusioni (ciò consentirà una piena esplicazione del diritto di difesa).

La giurisprudenza aderisce all’orientamento della dottrina maggioritaria, ritenendo non necessaria la fissazione di una nuova udienza di precisazione delle conclusioni davanti al giudice istruttore in funzione di giudice unico, ed escludendo la rinnovazione delle attività già svolte dalle parti e dal giudice.

L’esclusione della necessità di ripetere le attività defensionali già compiute comporta che il termine per il deposito della sentenza deve farsi decorrere dalla pronuncia dell'ordinanza di rimessione al giudice, mentre secondo la diversa tesi, che ritiene imprescindibile la ripetizione della precisazione delle conclusioni e dello scambio degli scritti difensivi, il suddetto termine decorrerà dalla scadenza per il deposito delle memorie di replica.

Per quanto concerne l’ambito di applicazione della norma, si afferma che, oltre all’ipotesi in cui la causa venga rimessa al collegio per la decisione, può anche verificarsi l'eventualità che il collegio sia chiamato dall'istruttore ad esercitare poteri non decisori, che però presuppongono la trattazione collegiale (es. pronuncia di provvedimenti probatori che possono essere emessi solo in fase di decisione).
In tali casi il collegio, se ritiene di condividere l'impostazione del giudice istruttore, provvederà nel merito, mentre se dissente da questa impostazione, restituirà la causa al giudice istruttore perché provveda quest'ultimo in qualità di giudice unico del processo.

Si esclude l’applicazione della disposizione in commento nell'ipotesi in cui il giudice abbia dichiarato l'estinzione del processo con ordinanza e, contro di essa, la parte interessata abbia proposto reclamo al collegio, ritenendo erroneamente che si tratti di causa riservata alla decisione del collegio; in tal caso, poiché la pronuncia di estinzione del processo emessa dal giudice unico ha valore di sentenza appellabile, anche se emessa in forma di ordinanza, il collegio non dovrà rimettere le parti innanzi all'istruttore, ma dovrà dichiarare inammissibile il reclamo.

La Riforma Cartabia ha modificato questa norma consentendo un passaggio diretto dal collegio al giudice monocratico per la decisione, senza necessità di fissare ulteriore udienza di precisazione delle conclusioni.

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