Questa norma è volta ad evitare il contrasto di giudicati, volendo il legislatore privilegiare la trattazione e decisione unitaria delle cause connesse, la quale viene affidata al collegio.
Il provvedimento di riunione ha forma di
ordinanza e la sua emissione spetta al
giudice istruttore, fatta salva la possibilità per il collegio di disporre la separazione delle cause ex
art. 279 del c.p.c. comma 2 n. 5.
Il
favor espresso nei confronti della composizione collegiale è connesso non tanto al rilievo economico della controversia, quanto piuttosto alla particolare natura della causa trattata ed alle caratteristiche del procedimento.
Parte della dottrina ritiene che la riunione non sia frutto di una scelta discrezionale del collegio, ma debba essere obbligatoriamente disposta da tale organo; in tal senso si argomenta dalla locuzione che il legislatore ha usato nella stessa norma “
ordina la riunione”, piuttosto che dire “
può disporre la riunione”.
Secondo altra tesi, invece, sebbene debba ammettersi che la ratio della norma sia quella di favorire la decisione delle cause connesse da parte del tribunale in composizione collegiale, si ritiene che non possa essere sottratto al giudice istruttore il potere di valutare la sussistenza delle condizioni ai fini della riunione e di negare tale riunione laddove essa, per il diverso grado di istruzione delle cause, possa comportare eccessivo ritardo nella decisione di una di esse.
In caso di diversità dei giudici istruttori nelle cause connesse, la riunione dovrà essere disposta dal presidente del tribunale.
Circa il significato da attribuire all'inciso “
all'esito dell'istruttoria”, riferito al momento in cui si effettua la rimessione, si ritiene che con tale espressione il legislatore abbia soltanto voluto sottolineare che la rimessione, per sua natura, può avvenire solo ad istruttoria conclusa.
Per quanto concerne l’ambito di applicazione della norma, prevale la tesi secondo cui essa si applica sia nell’ipotesi in cui più domande separatamente proposte siano successivamente riunite, sia nell'ipotesi in cui siano proposte cumulativamente
ab initio, sia infine quando il cumulo di cause sia conseguenza dell'introduzione in via incidentale di altre domande.
Non può farsi applicazione di tale norma, invece, in caso di cumulo di domande ex
art. 104 del c.p.c. non legate da rapporto di connessione, alcune delle quali sono riservate alla decisione del tribunale in composizione collegiale; in questo caso il giudice istruttore, al termine della fase di
trattazione, rimette al collegio solo le cause a questi riservate, trattenendo le altre davanti a sé per la decisione.
Si ritiene, poi, che nel concetto di connessione vi si debba far rientrare ogni tipo di connessione, e dunque:
-
connessione per l'oggetto e per il titolo;
-
connessione per pregiudizialità dipendenza fra rapporti sostanziali;
-
connessione per incompatibilità e per alternatività ;
-
connessione per identità di petitum e di causa petendi.
Ci si chiede se la norma si applichi anche ai casi di connessione meramente soggettiva.
Parte della dottrina lo esclude, ritenendo che tale esclusione permetterebbe di scongiurare il rischio che una parte, mediante la proposizione pretestuosa di una domanda solo soggettivamente connessa a quella attribuita al giudice unico, causi artatamente il passaggio del potere di emanare la decisione dal giudice unico al collegio.
L’ultima parte della norma prevede l’ipotesi che solo alcune cause riunite siano eventualmente istruite, così che si possa applicare l'art. 279 c.p.c., comma 2 n. 5.
Viene, in sostanza, attribuito al collegio il potere di separare in sede di decisione le cause connesse, decidendo quella riservata alla sua decisione e rimettendo in istruttoria quella riservata alla decisione del tribunale in composizione monocratica.
E’ da escludere che il collegio possa esercitare il potere di separazione nei casi di cumulo necessario, al fine di evitare il rischio di giudicati contraddittori (pertanto, la facoltà di separazione è ammessa nei soli casi di cumulo facoltativo).
La Riforma Cartabia ha modificato questa norma al fine di prevedere, mediante l’inteoduzione di un secondo comma, che, se sono riunite cause per le quali il tribunale deve giudicare in composizione collegiale e cause nelle quali deve giudicare in composizione monocratica, la prevalenza del rito collegiale, ferme restando le preclusioni e le decadenze maturate in ciascun procedimento, per la parte che si è svolta prima della riunione.