La norma in esame disciplina i casi in cui l'
apposizione dei sigilli avviene per iniziativa ufficiosa del
giudice stesso o su sollecitazione del
pubblico ministero, e sono:
a) il caso in cui il coniuge del defunto, o alcuno degli eredi, sia assente dal luogo di
apertura della successione;
b) il caso in cui tra gli eredi vi siano minori o interdetti, privi di
tutore o curatore;
c) il caso in cui, infine, il defunto fosse un pubblico
depositario ovvero esercente una pubblica carica o funzione e, conseguentemente, si possa ritenere che presso di lui si trovino documenti della
pubblica amministrazione o comunque documenti riservati.
Si tratta di casi volti essenzialmente alla
tutela di interessi pubblici, i quali, oltretutto risultano molto diversi nelle prime due ipotesi rispetto alla terza.
Infatti, nel caso dell'assenza o degli incapaci, l'intervento del giudice ha più che altro una funzione di supplenza per situazioni nelle quali manca colui che potrebbe presentare l'istanza per l'apposizione dei sigilli (la finalità perseguita è quella di garantire la conservazione del patrimonio ereditario allorché gli interessati non possono provvedervi).
Nel terzo caso, invece, con l'intervento ufficioso si vuole impedire la dispersione di oggetti pubblici ovvero la diffusione di informazioni che la pubblica amministrazione considera riservate.
Si ritiene opportuno evidenziare che l'apposizione d'ufficio dei sigilli ha carattere necessario, essendo la valutazione del giudice limitata alla verifica dei presupposti sostanziali cui è subordinata, dovendo in ogni caso provvedere nel caso di verifica positiva, senza godere di alcun margine di valutazione discrezionale.
Va poi precisato che per assenza del coniuge o di qualche erede si intende l’assenza in senso fisico, come lontananza dal luogo in cui si trovano i beni relitti (e non come assenza in senso giuridico ex
art. 49 del c.c.).
Per quanto concerne, infine, il procedimento e la
competenza, vale quanto detto agli artt.
753 e
752 c.p.c.