(massima n. 1)
La disposizione dell'art. 113 c.p.p., relativa alla «ricostituzione di atti» — applicabile per analogia al rito civile, nel quale mancano specifiche norme che disciplinino la materia — prevede l'emissione di un provvedimento di natura amministrativa (o ordinatoria), assolutamente privo di contenuto decisorio, che non realizza una statuizione sostitutiva di quella già contenuta nel provvedimento mancante, bensì interviene a riprodurlo nella sua materialità e secondo il decisum che a quell'atto già apparteneva. Ne consegue che: a) il provvedimento di ricostituzione è sottratto ad ogni autonoma impugnazione, essendo modificabile e revocabile dallo stesso giudice che l'ha emesso, ed essendo ammissibile la riproposizione di un'istanza di ricostituzione originariamente respinta; b) l'eventuale impugnazione va, quindi, diretta nei confronti del provvedimento rinnovato (nella specie, una sentenza andata smarrita presso l'Ufficio del Registro) con il quale il provvedimento di ricostituzione finisce con il fare corpo unico; c) il giudice che deve emettere il provvedimento di ricostituzione è il medesimo organo giurisdizionale che emise l'atto mancante (senza necessità di identità fisica tra la persona o le persone che parteciparono alla sua emanazione e quelle che pongono in essere il provvedimento di ricostituzione); d) il giudice, per dare concreta attuazione alla ricostituzione, è libero di dettarne i modi tendenti alla ricerca di ogni elemento utile per ricostruire fedelmente l'originario contenuto dell'atto mancante, sia nella sua veste formale, sia nel suo contenuto decisorio.