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Articolo 3 Codice del processo amministrativo

(D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Dovere di motivazione e sinteticità degli atti

Dispositivo dell'art. 3 Codice del processo amministrativo

1. Ogni provvedimento decisorio del giudice è motivato.

2. Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica, secondo quanto disposto dalle norme di attuazione.

Ratio Legis


Spiegazione dell'art. 3 Codice del processo amministrativo

L’art. 3 c.p.a. – in ossequio all’ art. 111 co. 6 Cost. - prevede, al comma primo, il principio della motivazione dei provvedimenti decisori. Si impone normativamente, cioè, che il Giudice Amministrativo fornisca la spiegazione delle ragioni di fatto e di diritto poste alla base di ogni decisione. Ciò è valevole sia nel caso in cui il giudice emetta una sentenza sia nel caso in cui il provvedimento giurisdizionale abbia la forma dell’ordinanza o del decreto.
L’obbligo di motivazione è intimamente connesso con il principio di effettività della tutela: solo conoscendo l’iter logico-giuridico che ha seguito il giudice per giungere alla decisione assunta, infatti, la parte risulta nelle condizioni di impugnare consapevolmente la sentenza pregiudizievole. Inoltre, in tale ottica, il principio della motivazione appare connesso anche con il principio di ragionevole durata in quanto, evitando la proposizione dei c.d. ricorsi al buio, consente la deflazione dei processi.
Analogamente a quanto previsto per la motivazione del provvedimento amministrativo dall’art. 3 L. 241/1990, la dottrina ha precisato che la motivazione dei provvedimenti giurisdizionali deve essere:
  • completa, cioè relativa a tutte le questioni di fatto e di diritto oggetto della controversia;
  • coerente, cioè rispettosa dei canoni di logicità e ragionevolezza.
Va segnalato che la giurisprudenza amministrativa ammette pacificamente anche la motivazione c.d. per relationem, cioè la motivazione che si fondi sul richiamo di un precedente giurisprudenziale, a patto che tuttavia siffatto richiamo sia correlato da un’autonoma e critica valutazione del giudice.
Concludendo l’analisi del primo comma, deve segnalarsi che la violazione dell’obbligo di motivazione imposto dall’art. 3 non trova una specifica sanzione: non esiste, infatti, un mezzo autonomo di impugnazione della sentenza amministrativa per difetto di motivazione, a differenza di quanto previsto per il processo civile dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.

L’esaminato principio della motivazione deve essere bilanciato con quello stabilito dal comma secondo, che impone la chiarezza e sinteticità degli atti redatti dal giudice nonchè dalle parti. Anche tale disposto pare strettamente relazionato con i principi di effettività della tutela e di ragionevole durata. Al principio di chiarezza e sinteticità, peraltro, il Codice del processo amministrativo riserva particolare importanza in quanto il giudice, ai sensi dell’art. 26 tiene in considerazione il rispetto del principio in esame nella liquidazione delle spese di giudizio.

Massime relative all'art. 3 Codice del processo amministrativo

Cass. civ. n. 8009/2019

In tema di ricorso per cassazione, il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali che, fissato dall'art. 3, comma 2, del c.p.a., esprime tuttavia un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile, espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione, non già per l'irragionevole estensione del ricorso (la quale non è normativamente sanzionata), ma in quanto rischia di pregiudicare l'intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l'esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai nn. 3 e 4 dell'art. 366 c.p.c., assistite - queste sì - da una sanzione testuale di inammissibilità. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile un ricorso che si limitava a riprodurre stralci degli atti difensivi depositati dal ricorrente nei precedenti gradi del giudizio senza formulare alcuna specifica censura nei confronti della decisione impugnata).

Cons. Stato n. 5287/2018

L'art. 3, comma 2, Cod. proc. amm. (D.Lgs 104/ 2010) rivolge un monito alle parti e al giudice di redigere gli atti del giudizio in maniera chiara e sintetica - senza fissare alcuna sanzione per il caso in cui non venga in concreto rispettato. In particolare, per le parti la violazione del dovere di sinteticità non genera la conseguenza dell'inammissibilità dell'intero atto, ma solo il degradare della parte eccedentaria a contenuto che il giudice ha la mera facoltà di esaminare, mentre per il giudice la redazione di una sentenza eccessivamente prolissa o poco comprensibile rileva al più in sede di valutazione professionale e non costituisce, certo, motivo di nullità della stessa.

Cons. Stato n. 4413/2018

La chiarezza e specificità degli scritti difensivi (ed in particolare dei motivi del ricorso) si riferiscono all'ordine delle questioni, al linguaggio da usare, alla correlazione logica con l'atto impugnato (sentenza o provvedimento che sia), alle difese delle controparti; ne consegue che è onere della parte ricorrente operare una sintesi del fatto sostanziale e processuale, funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure, così evitando la prolissità e la contraddittoria commistione fra argomenti, domande, eccezioni e richieste istruttorie.

Gli artt. 3, 40 e 101 del D.Lgs 104/2010 intendono definire gli elementi essenziali del ricorso, con riferimento alla causa petendi (i motivi di gravame) ed al petitum, cioè la concreta e specifica decisione richiesta al giudice; con particolare riguardo alla stesura dei motivi, lo scopo delle disposizioni è quello di incentivare la redazione di ricorsi dal contenuto chiaro e di porre argine ad una prassi in cui i ricorsi, oltre ad essere poco sintetici non contengono una esatta suddivisione tra fatto e motivi, con il conseguente rischio che trovino ingresso i c.d. "motivi intrusi", ossia i motivi inseriti nelle parti del ricorso dedicate al fatto, che, a loro volta, ingenerano il rischio della pronuncia di sentenze che non esaminano tutti i motivi per la difficoltà di individuarli in modo chiaro e univoco e, di conseguenza, incorrano nel rischio di revocazione.

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