A maggior commento di questa disposizione, già contenuta nel progetto della Commissione parlamentare, e per spiegare la connessione di questa disposizione con la istituzione della tutela e del suo nuovo organo, il giudice tutelare, si può riportare il seguente brano del rapporto della Sottocommissione:
"Noi siamo partiti dal presupposto che non debba esservi fanciullo che non abbia chi lo assista, lo protegga, lo rappresenti in tutti gli atti della sua vita civile. L'antico concetto che la tutela sia giustificata solo quando esiste un patrimonio da amministrare, a parte la sua erroneità concettuale, essendo l'uomo sempre un soggetto di rapporti patrimoniali per lo meno virtuali, è incompatibile con i fini di interesse pubblico che giustificano l'assistenza e la protezione dei fanciulli abbandonati. Il ricovero e l'assistenza del minore nell'interno dell'istituto di assistenza, come il suo collocamento esterno, devono essere considerati, perciò, come esercizio di un vero e proprio potere tutelare sulla persona del minore, che sussiste fino a che non sia stato provveduto, come dice l'art. 3, alla nomina di altro tutore, da parte del giudice tutelare. Questo potere tutelare è tanto più necessario in quanto per il combinato disposto degli articoli 325 e 351, nel testo approvato dalla Commissione parlamentare, il semplice fatto dell'impedimento o della sospensione dell'esercizio della patria potestà da parte di entrambi i genitori dà luogo all'apertura della tutela, e basta, perciò, a costituire il titolo giuridico perché possa intervenire automaticamente il potere tutelare dell'Opera assistenziale."
Il rapporto poi aggiunge:
"Di massima importanza è la regola contenuta nel capoverso di questo articolo terzo e per la quale si dispone che in ogni caso in cui il genitore del minore abbandonato riprenda l'esercizio della patria potestà, l'Istituto di pubblica assistenza deve richiedere che il giudice tutelare intervenga. Purtroppo, infatti, spesso avviene che i genitori legittimi naturali, dopo avere abbandonato l'infante od il fanciullo o avere provocato il suo internamento in un reclusorio, ricompaiano per pretendere di ritirarlo in famiglia quando è divenuto un giovinetto educato ed abile al lavoro, procedendo, ove necessario, ad atti di riconoscimento o di legittimazione."
"Nello stato attuale della legislazione, l'Istituto non può opporsi alle loro richieste, anche se dubiti che il genitore reclami il figlio a solo scopo di sfruttamento e che si tratti di ambienti familiari di corruzione o di mala vita. La disposizione mira a proteggere il minore ed il pubblico interesse, stabilendo che la restituzione del minore non possa avvenire se non attraverso una procedura che si svolgerà davanti al giudice tutelare, il quale potrà fissare eventualmente dei limiti e delle condizioni atte a proteggere l'avvenire del minore".