Cons. Stato n. 4047/2019
Le assenze per mancato intervento dei Consiglieri dalle sedute del Consiglio comunale non devono essere giustificate preventivamente di volta in volta; ciò in quanto le giustificazioni possono essere fornite successivamente, anche dopo la notificazione all'interessato della proposta di decadenza, ferma restando l'ampia facoltà di apprezzamento del Consiglio comunale in ordine alla fondatezza e serietà ed alla rilevanza delle circostanze addotte a giustificazione delle assenze.
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Le assenze dei consiglieri comunali o provinciali danno luogo a revoca quando mostrano con ragionevole deduzione un atteggiamento di disinteresse per motivi futili o inadeguati rispetto agli impegni assunti con l'incarico pubblico elettivo; la mancanza o l'inconferenza della giustificazione devono essere obiettivamente gravi per assenza o estrema genericità e tali da impedire qualsiasi accertamento sulla fondatezza, serietà e rilevanza dei motivi.
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È illegittima, ai sensi dell'art. 43, comma 4, D.Lgs. n. 267 del 2000, la pronuncia di decadenza di alcuni Consiglieri comunali per assenze per oltre 3 sedute consecutive, ove per due di tali sedute l'avviso di convocazione sia stato comunicato in ritardo, ovvero in violazione del termine di cinque giorni (sì che l'assenza non avrebbe potuto essere imputata ai fini della continuità).
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Il termine di cinque giorni, stabilito per la consegna ai consiglieri dell'avviso di convocazione alle adunanze, è termine costituito da giorni liberi e interi, che devono interamente decorrere prima dello svolgimento dell'attività cui sono preordinati, in modo tale da garantire lo svolgimento con pienezza di funzioni del ruolo elettivo da parte del consigliere, garantendo effettiva e consapevole partecipazione ad ogni attività del Consiglio.
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Le circostanze che possono dar luogo alla decadenza dal ruolo elettivo devono essere lette con rigore in ragione del carattere restrittivo della funzione rappresentativa che è proprio della severa misura: a tal fine va dato rilievo alle assenze solo quando mostrano con ragionevole deduzione un atteggiamento insistito di disinteresse per motivi futili o inadeguati rispetto agli impegni assunti con l'incarico pubblico elettivo (vale rammentare che l'art. 51, terzo comma, Cost. afferma: «chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro»).
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È illegittima la delibera con la quale è stata dichiarata la decadenza di alcuni Consiglieri comunali per assenze per tre sedute consecutive ove risulti che i Consiglieri interessati abbiano giustificato, di volta in volta nell'imminenza delle sedute, prima, e nel corso del procedimento di decadenza, poi, le proprie assenze, adducendo ragioni idonee e specifiche rispetto alla mancata partecipazione: quali motivi di salute e malattia (comprovati anche mediante la presentazione di relativa certificazione medica per i relativi periodi: cfr. giustificazioni fornite dai consiglieri Petroni e Amici), ragioni di lavoro, di servizio o esigenze di fruire di periodi di ferie o, infine, circostanze obiettive correlate all'impossibilità di partecipare alle sedute con cognizione di causa (per la mancata disponibilità della documentazione necessaria in relazione agli argomenti posti all'ordine del giorno, anche in violazione del diritto di accesso e in assenza di riscontro alle motivate richieste formulate dai consiglieri).
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È illegittima la delibera con la quale è stata dichiarata la decadenza di alcuni Consiglieri comunali per assenze per tre sedute consecutive ove, in presenza di specifiche giustificazioni, né apodittiche né tautologiche ma agevolmente verificabili nella fondatezza, serietà e rilevanza, il Consiglio comunale non abbia opposto una altrettanto specifica e puntuale motivazione sulle cause addotte, al fine di esternare le ragioni che palesavano un effettivo e concreto disinteresse rispetto agli impegni assunti sì da escludere un utilizzo improprio e distorto dello strumento sanzionatorio (nella specie lo Statuto del Comune peraltro prevedeva che il Consiglio delibera sulla decadenza «tenuto adeguatamente conto delle cause giustificative presentate da parte del consigliere comunale»).
Cons. Stato n. 3828/2018
Lo scioglimento dell'organo elettivo si connota quale misura di carattere straordinario per fronteggiare un'emergenza straordinaria; di conseguenza sono giustificati margini ampi nella potestà di apprezzamento dell'Amministrazione nel valutare gli elementi su collegamenti diretti o indiretti, non traducibili in singoli addebiti personali, ma tali da rendere plausibile il condizionamento degli amministratori.
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Connotandosi il potere amministrativo per un'elevata discrezionalità, il sindacato del giudice amministrativo sulla ricostruzione dei fatti e sulle implicazioni desunte dagli stessi non può quindi spingersi oltre il riscontro della correttezza logica e del non travisamento dei fatti, essendo rimesso il loro apprezzamento alla più ampia discrezionalità dell'autorità amministrativa. Il controllo sulla legittimità dei provvedimenti adottati si caratterizza quindi come estrinseco, nei limiti del vizio di eccesso di potere quanto all'adeguatezza dell'istruttoria, alla ragionevolezza del momento valutativo, nonché alla congruità e proporzionalità rispetto al fine perseguito.
Cons. Stato n. 5176/2017
Il diritto di accesso previsto dall'art. 43, comma 2, del D.Lgs. n. 267 del 2000 in favore dei consiglieri comunali non può estendersi anche alle società partecipate dal Comune in forma minoritaria, tanto più quando tali società non svolgano attività di gestione di servizi pubblici; del resto la norma in questione espressamente prevede il diritto di accesso in relazione alle attività delle aziende comunali, situazione che non è predicabile nel caso di società di cui l'Ente pubblico possiede una partecipazione minoritaria.
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Non sussiste il diritto di un consigliere regionale di accedere agli atti di una società partecipata in misura minoritaria dalla Regione e che comunque non svolge un servizio pubblico, atteso che in tal caso la società stessa non può ritenersi "dipendente" dalla Regione, non possedendo quest'ultima una partecipazione maggioritaria e non svolgendo la società partecipata un servizio pubblico, così che in definitiva l'accesso richiesto non può trovare giustificazione in relazione alla pretesa cura dell'interesse pubblico connesso al mandato conferito e cioè ai fini del controllo del comportamento complessivo dell'ente (in funzione dell'interesse pubblico da perseguire).
Cons. Stato n. 4525/2014
I consiglieri comunali hanno un incondizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d'utilità all'espletamento delle loro funzioni, anche al fine di permettere di valutare, con piena cognizione, la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché di esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio e per promuovere, anche nel suo ambito, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale; in realtà il diritto di accesso loro riconosciuto ha una ratio diversa da quella che contraddistingue il diritto di accesso ai documenti amministrativi riconosciuto ex art. 10, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 alla generalità dei cittadini ovvero a chiunque sia, ex art. 22 e ss., L. 7 agosto 1990, n. 241 portatore di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso; ed infatti, mentre in linea generale il diritto di accesso è finalizzato a permettere ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti per la tutela delle proprie posizioni soggettive eventualmente lese, quello riconosciuto ai consiglieri comunali è strettamente funzionale all'esercizio delle loro funzioni, alla verifica e al controllo del comportamento degli organi istituzionali decisionali dell'ente locale ai fini della tutela degli interessi pubblici, piuttosto che di quelli privati e personali, e si configura come peculiare espressione del principio democratico dell'autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività.
Cons. Stato n. 846/2013
La "ratio" dell'art. 43 del D.L. 18 agosto 2000 n. 267 (T.U.E.L.) - che prevede il diritto dei consiglieri comunali di ottenere dagli uffici tutte le notizie e informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del loro mandato - è da rinvenire nel principio democratico dell'autonomia locale e della rappresentanza esponenziale, sicché tale diritto è direttamente funzionale non tanto all'interesse del consigliere comunale (o provinciale), ma alla cura dell'interesse pubblico connesso al mandato conferito, controllando il comportamento degli organi decisionali del Comune.
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Il diritto di accesso dei consiglieri comunali non è soggetto ad alcun onere motivazionale; diversamente opinando, verrebbe introdotto una sorta di controllo dell'ente, attraverso i propri uffici, sull'esercizio del mandato del consigliere comunale. Gli unici limiti all'esercizio di tale diritto si rinvengono nel fatto che l'esercizio del diritto stesso deve avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali e che non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative, fermo restando che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazione al diritto di accesso dei consiglieri.
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È legittimo il diniego opposto dall'amministrazione comunale alla richiesta rivolta dai consiglieri comunali diretta all'estrazione di copie in assenza di motivazione in ordine all'esistenza dei presupposti del diritto di accesso, soprattutto in presenza di numerose e reiterate istanze, che tendono ad ottenere la documentazione di tutti i settori dell'amministrazione, apparendo così tendenti a compiere un sindacato generalizzato dell'attività degli organi decidenti, deliberanti e amministrativi dell'Ente e non all'esercizio del mandato politico finalizzato ad un organico progetto conoscitivo in relazione a singole problematiche. Il diritto di accesso dei consiglieri comunali in ogni caso non può essere utilizzato per indurre o costringere l'amministrazione a formare atti nuovi rispetto ai documenti amministrativi già esistenti, ovvero a compiere un'attività di elaborazione di dati e documenti, potendo essere invocato esclusivamente al fine di ottenere il rilascio di copie di documenti già formati e materialmente esistenti presso gli archivi dell'Amministrazione che li possiede.
Cons. Stato n. 5058/2011
I consiglieri comunali possono accedere a tutti gli atti (pure di tipo contabile) la cui conoscenza si riveli utile (art. 43, D.Lgs. n. 267/2000) per un migliore espletamento del loro mandato elettorale, per cui, nel loro caso, il titolo all'accesso si configura come corredato da un'ulteriore connotazione rispetto a quello riconosciuto alla generalità dei cittadini, potendo esso legittimamente sostenersi sull'esigenza di assumere anche solo semplici informazioni non contenute in formali documenti o di natura riservata (fermo restando il vincolo del segreto al quale sono tenuti i consiglieri comunali), nel rispetto dell'orientamento condivisibilmente seguito dalla Commissione per l'accesso incardinata presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Cons. Stato n. 6963/2010
I consiglieri comunali hanno un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere di utilità all'espletamento del loro mandato, ciò anche al fine di permettere di valutare - con piena cognizione - la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell'ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale. Di conseguenza sul consigliere comunale non può gravare alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso, atteso che diversamente opinando sarebbe introdotta una sorta di controllo dell'ente, attraverso i propri uffici, sull'esercizio del mandato del consigliere comunale; dal termine "utili", contenuto nell'articolo 43 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, non può conseguire alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, detto aggettivo garantendo in realtà l'estensione di tale diritto di accesso a qualsiasi atto ravvisato utile per l'esercizio del mandato.