AUTORE:
Giuseppe Aloisi
ANNO ACCADEMICO: 2021
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą degli Studi Roma Tre
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
Negli ultimi due anni l’intera umanità ha dovuto lottare contro un nuovo virus, mai identificato prima nell’uomo, che, con la sua potentissima carica virale, ha mietuto, e continua a farlo, molte vittime. L’Italia è stata uno dei primi paesi a dover fronteggiare il Sars-CoV-2. Per tale motivo, il governo italiano è stato, tra i vari governi internazionali, uno dei propulsori per le adozioni delle misure di contenimento attraverso il susseguirsi di svariati interventi normativi.
La produzione normativa si è espressa sotto forma di decretazione di urgenza quali decreti legislativi e decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Nel corso del mio elaborato vedremo i disagi dovuti al Covid-19. Questi non hanno riguardato soltanto l’ambito sanitario bensì anche l’ambito economico-sociale. In concomitanza con la misura più restrittiva di sempre, ossia il lockdown, adottata con il DPCM del 9 marzo 2020, sono state previste molteplici cautele e obblighi al fine di assicurare lo svolgimento delle prestazioni lavorative nel modo più sicuro possibile per tutelare da un lato i lavoratori stessi e dall’altro i vari utenti.
Tale attenzione è dovuta alla duplice esigenza di evitare una paralisi del Paese e della propria economia e contestualmente scongiurare che l’attività lavorativa diventi il principale veicolo per la diffusione del virus. Durante l’espletamento di tale attività, il Governo, nonostante abbia cercato di disegnare un quadro di tutele e obblighi ponderandolo e armonizzandolo (il più possibile) con il complesso tessuto normativo in materia di salute e sicurezza del lavoro ( T.U. n.81 del 2008 art. 2087 c.c.), ha incontrato copiose critiche da parte della società a causa di alcuni provvedimenti adottati. In particolare sono stati impiegati, tra il governo e le parti sociali, dei protocolli contenti una serie di misure aventi tutte lo scopo di mettere al sicuro dal virus i luoghi lavorativi. Uno degli articoli fondamentali su cui si è fatto affidamento è stato l’articolo 2087 c.c. il quale attualmente rappresenta, agli occhi della dottrina e della giurisprudenza, una norma di chiusura del sistema di tutela dell’integrità del lavoratore, rimarcandone il carattere di dovere generale che incombe sul datore di adottare tutte le tutele necessarie affinché prevenga i rischi insiti all’interno dell’ambiente lavorativo. Tra le misure adottate dal Governo, quella più discussa è l’obbligo di vaccinazione anti COVID-19. Inizialmente, attraverso il D.L. n.44 del 2021, tale misura è diventata un requisito essenziale per lo svolgimento dell’attività lavorativa per il personale sanitario tutto. Chi si scontra contro tale obbligo lo fa sostenendo la sua illegittimità costituzionale, in quanto esso rappresenterebbe una compressione eccessiva di alcuni diritti fondamentali. In particolare, si lamenta una violazione del diritto di autodeterminazione dell’individuo sancito dall’art. 32 cost. secondo cui «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.». Nel corso dell’elaborato, si analizzerà sia le tesi di chi si scontra con tale obbligo sia quelle di chi sostiene la legittimità dello stesso sostenendo che la stessa costituzione lo giustifichi attraverso il principio di solidarietà. Secondo quest’ultimo, infatti, la tutela della collettività si pone in un piano sopraelevato rispetto al singolo. In più, a favore di chi ne sostiene la legittimità, vedremo quali sono i precedenti storici a livello nazionale e quale posizione abbia preso, in merito, la CEDU.
Nel secondo capitolo, attraverso una disamina dell’articolo 4 e ss, del D.L n. 44 del 2021, si tratterà in concreto quale sia la procedura individuata dal governo per l’adempimento all’obbligo oggetto di commento. In particolare, ci si soffermerà su quali siano le conseguenze per chi si dimostri inadempiente e come, invece, i datori di lavoro debbano procedere nei confronti di quei soggetti che risultano esclusi ovvero differiti dall’obbligo di vaccinazione per motivi di salute. In breve, per i primi l’inadempimento dà luogo ad una sospensione del rapporto lavorativo con conseguente perdita della retribuzione, pur mantenendo il diritto alla conservazione del rapporto lavorativo (tuttavia il lavoratore sospeso potrà essere sostituito); per i secondi, e cioè coloro i quali non possono sottoporsi alla profilassi vaccinale per motivi di salute, è previsto che il datore di lavoro adibisca il lavoratore a mansioni diverse, le quali non prevedano il contatto con il pubblico al fine di evitare il diffondersi del virus. Per tale categoria è salvo il diritto alla retribuzione. Questa non sarà diminuita nemmeno nel caso in cui la nuova mansione sia inferiore rispetto a quella ordinaria.
La produzione normativa si è espressa sotto forma di decretazione di urgenza quali decreti legislativi e decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Nel corso del mio elaborato vedremo i disagi dovuti al Covid-19. Questi non hanno riguardato soltanto l’ambito sanitario bensì anche l’ambito economico-sociale. In concomitanza con la misura più restrittiva di sempre, ossia il lockdown, adottata con il DPCM del 9 marzo 2020, sono state previste molteplici cautele e obblighi al fine di assicurare lo svolgimento delle prestazioni lavorative nel modo più sicuro possibile per tutelare da un lato i lavoratori stessi e dall’altro i vari utenti.
Tale attenzione è dovuta alla duplice esigenza di evitare una paralisi del Paese e della propria economia e contestualmente scongiurare che l’attività lavorativa diventi il principale veicolo per la diffusione del virus. Durante l’espletamento di tale attività, il Governo, nonostante abbia cercato di disegnare un quadro di tutele e obblighi ponderandolo e armonizzandolo (il più possibile) con il complesso tessuto normativo in materia di salute e sicurezza del lavoro ( T.U. n.81 del 2008 art. 2087 c.c.), ha incontrato copiose critiche da parte della società a causa di alcuni provvedimenti adottati. In particolare sono stati impiegati, tra il governo e le parti sociali, dei protocolli contenti una serie di misure aventi tutte lo scopo di mettere al sicuro dal virus i luoghi lavorativi. Uno degli articoli fondamentali su cui si è fatto affidamento è stato l’articolo 2087 c.c. il quale attualmente rappresenta, agli occhi della dottrina e della giurisprudenza, una norma di chiusura del sistema di tutela dell’integrità del lavoratore, rimarcandone il carattere di dovere generale che incombe sul datore di adottare tutte le tutele necessarie affinché prevenga i rischi insiti all’interno dell’ambiente lavorativo. Tra le misure adottate dal Governo, quella più discussa è l’obbligo di vaccinazione anti COVID-19. Inizialmente, attraverso il D.L. n.44 del 2021, tale misura è diventata un requisito essenziale per lo svolgimento dell’attività lavorativa per il personale sanitario tutto. Chi si scontra contro tale obbligo lo fa sostenendo la sua illegittimità costituzionale, in quanto esso rappresenterebbe una compressione eccessiva di alcuni diritti fondamentali. In particolare, si lamenta una violazione del diritto di autodeterminazione dell’individuo sancito dall’art. 32 cost. secondo cui «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.». Nel corso dell’elaborato, si analizzerà sia le tesi di chi si scontra con tale obbligo sia quelle di chi sostiene la legittimità dello stesso sostenendo che la stessa costituzione lo giustifichi attraverso il principio di solidarietà. Secondo quest’ultimo, infatti, la tutela della collettività si pone in un piano sopraelevato rispetto al singolo. In più, a favore di chi ne sostiene la legittimità, vedremo quali sono i precedenti storici a livello nazionale e quale posizione abbia preso, in merito, la CEDU.
Nel secondo capitolo, attraverso una disamina dell’articolo 4 e ss, del D.L n. 44 del 2021, si tratterà in concreto quale sia la procedura individuata dal governo per l’adempimento all’obbligo oggetto di commento. In particolare, ci si soffermerà su quali siano le conseguenze per chi si dimostri inadempiente e come, invece, i datori di lavoro debbano procedere nei confronti di quei soggetti che risultano esclusi ovvero differiti dall’obbligo di vaccinazione per motivi di salute. In breve, per i primi l’inadempimento dà luogo ad una sospensione del rapporto lavorativo con conseguente perdita della retribuzione, pur mantenendo il diritto alla conservazione del rapporto lavorativo (tuttavia il lavoratore sospeso potrà essere sostituito); per i secondi, e cioè coloro i quali non possono sottoporsi alla profilassi vaccinale per motivi di salute, è previsto che il datore di lavoro adibisca il lavoratore a mansioni diverse, le quali non prevedano il contatto con il pubblico al fine di evitare il diffondersi del virus. Per tale categoria è salvo il diritto alla retribuzione. Questa non sarà diminuita nemmeno nel caso in cui la nuova mansione sia inferiore rispetto a quella ordinaria.