L'articolo 9 disciplina l'azione di rivalsa della struttura sanitaria e l’azione di responsabilità amministrativa nei confronti dell'esercente la professione sanitaria, in caso di dolo o colpa grave di quest'ultimo, successivamente all'avvenuto risarcimento ottenuto dal danneggiato. L’azione può essere esercitata sia nei confronti di dipendenti di strutture sanitarie o sociosanitarie private, che nei confronti di dipendenti di strutture pubbliche (ipotesi a cui è dedicato l’intero comma 5); in ambito privato, ad agire in rivalsa è la stessa struttura sanitaria o sociosanitaria, mentre in ambito pubblico l’azione spetta al pubblico ministero presso la Corte dei Conti.
Azione di rivalsa
Per quanto riguarda i casi di azione di rivalsa in ambito privato, ai sensi del primo comma, la struttura sanitaria privata (fermo il diritto di surrogazione dell'assicuratore contemplato dal comma 6) può, una volta convenuta in giudizio, esercitare l’azione di rivalsa nei confronti della persona fisica esercente la professione sanitaria, introducendo nei suoi confronti un apposito giudizio. Tale azione può essere esercitata solamente nei casi di dolo e colpa grave, ossia casi in cui vi sia stata la volontà di produrre l’evento dannoso da parte del professionista, oppure quest’ultimo abbia commesso violazioni grossolane del dovere di diligenza, prudenza o perizia.
La norma dispone che “l’azione di rivalsa nei confronti dell’esercente la professione sanitaria può essere esercitata solo in caso di dolo o colpa grave”, dunque, l’utilizzo del verbo “può” induce a ritenere che si sia voluto intendere che la struttura non sia obbligata ad agire, ma possa decidere discrezionalmente, valutando caso per caso; in caso scelga di non procedere dovrà, però, motivare la decisione.
Al fine di consentire all’esercente la professione sanitaria il diritto di difesa ed il contraddittorio, è previsto che, se la parte danneggiata non ha proposto il giudizio anche contro di lui (e se, quindi, non è stato parte del giudizio) - cosa possibile dato che il danneggiato potrebbe benissimo proporre la sua azione solo contro la struttura - l’azione di rivalsa della struttura nei suoi confronti possa essere esercitata soltanto successivamente al risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o stragiudiziale. Se, invece, l’esercente la professione sanitaria è convenuto in giudizio dal danneggiato, non è esclusa la possibilità di proporre l’azione di rivalsa nei suoi confronti anche a giudizio pendente: infatti, essendo tale parte presente in causa, non vi sarebbe alcuna ragione per posticipare l’azione di rivalsa.
La rivalsa deve essere esercitata entro un anno dall’avvenuto pagamento, a pena di decadenza: si tratta dunque di un termine che non può essere interrotto né sospeso, se non con l’introduzione del giudizio verso il professionista sanitario.
Misura della rivalsa
Il comma 6 pone un
limite all’ammontare della condanna del soggetto destinatario dell’azione di rivalsa che abbia agito con
colpa grave (ma non in caso di dolo), prevedendo che, se la domanda del danneggiato nei confronti della struttura sanitaria o nei confronti dell'impresa di assicurazione titolare di polizza con la medesima struttura è accolta, l'azione nei confronti dell'esercente la professione sanitaria deve essere esercitata innanzi al giudice ordinario, e la
misura della rivalsa (nonché quella della surrogazione richiesta dall'impresa di assicurazione ai sensi dell'articolo
1916 co. 1 c.c.) per singolo evento, non può superare una somma pari al
triplo del valore maggiore del reddito professionale, ivi compresa la retribuzione lorda, conseguito nell'anno di inizio della condotta causa dell'evento o nell'anno immediatamente precedente o successivo. In questo modo è stato introdotto un limite rispetto al precedente obbligo di integrale reintegro patrimoniale della struttura pubblica da parte del dipendente: il professionista sanitario ora dovrà rifondere all’azienda a titolo di rivalsa una somma corrispondente alla retribuzione annua lorda moltiplicata per tre e non l’intero importo del risarcimento, come accadeva prima della legge Gelli. Ciò significa che, a prescindere dall’ammontare versato al danneggiato dalla struttura sanitaria in ragione della condanna, ed anche nel caso in cui sia stata l’impresa di assicurazione ad eseguire il pagamento, il singolo professionista non può subire nel giudizio di rivalsa una condanna superiore all’importo come sopra calcolato. Se, invece, ha agito con
dolo, potrà essere condannato al versamento dell’intero importo corrisposto al danneggiato.
Il limite di cui al comma 6 non trova però applicazione nei casi in cui l’esercente la professione sanitaria operi al di fuori delle strutture sanitarie o sociosanitarie individuate nel primo comma dell’art. 10 o presti la sua opera all’interno delle predette strutture in regime libero-professionale, oppure abbia un rapporto contrattuale diretto con il paziente ai sensi dell’art. 7, comma 3, della legge Gelli.
Rapporti tra giudizio di risarcimento o transazione e giudizio di rivalsa
Il terzo e settimo comma disciplinano gli effetti che la decisione resa contro la struttura sanitaria o contro l’impresa di assicurazione ha nel giudizio di rivalsa contro l’esercente la professione sanitaria, in relazione alla partecipazione o meno del professionista nel primo giudizio. In sintonia con i generali principi vigenti nel nostro ordinamento, il comma 3 prevede che, se l'esercente la professione sanitaria non è stato parte del giudizio, la decisione pronunciata nel giudizio promosso contro la struttura sanitaria o la compagnia assicuratrice non fa stato nel giudizio di rivalsa. Analogamente, il comma 4 prevede che nemmeno la transazione sia opponibile all’esercente la professione sanitaria nel giudizio di rivalsa.
Per quanto riguarda il valore delle prove assunte nel giudizio instaurato dal danneggiato nei confronti della struttura sanitaria o dell'impresa di assicurazione, il comma 7 prevede che, nel giudizio di rivalsa, il giudice possa desumerne argomenti di prova, ma solo se l'esercente la professione sanitaria ne sia stato parte. Per “argomento di prova” si intende un fatto che di per sé solo non avrebbe valore probatorio, ma che però può costituire strumento o costituisce elemento per la valutazione di altre prove. Tuttavia, in realtà, la giurisprudenza tende da tempo ad affermare che il giudice possa fondare il suo convincimento anche su un solo argomento di prova, quando questo sia grave e non contraddetto da altri elementi probatori: di conseguenza, se il professionista non fornisse elementi contrari alla decisione resa nella causa risarcitoria, tale pronuncia, di per sé sola, potrebbe consentire una condanna in sede di rivalsa.
La norma in esame non specifica se l’esercente la professione sanitaria abbia o meno il diritto di essere messo a conoscenza, prima dell’esercizio dell’azione di rivalsa, dell’introduzione di un procedimento da parte del danneggiato, nei confronti della struttura sanitaria o dell’impresa di assicurazione, volto ad ottenere il risarcimento. Ciò sarebbe opportuno in quanto, se al professionista fosse consentito di difendersi e di fornire tutti gli elementi a sua discolpa, ne conseguirebbe un vantaggio anche per la struttura sanitaria o per l’impresa di assicurazione, le quali sarebbero così messe in condizione di opporre al danneggiato ulteriori elementi utili per l’accertamento dei fatti.
Azione di responsabilità amministrativa
Il comma 5 stabilisce che, quando sia accolta la domanda di risarcimento del danneggiato nei confronti della struttura sanitaria pubblica o del sanitario ivi operante, sempre nei casi di dolo o colpa grave, il pubblico ministero presso la Corte di Conti esercita l'azione di responsabilità amministrativa nei confronti dell’esercente la professione sanitaria. L’istituto della responsabilità amministrativa consiste in un corpo normativo distinto ed autonomo rispetto all’ordinario sistema della responsabilità civile e della giurisdizione ordinaria, a cui si riferiscono gli altri commi dell’articolo in commento.
L’azione di responsabilità amministrativa è rivolta all’accertamento della responsabilità degli amministratori e dei dipendenti pubblici per danno erariale, sulla base di quanto stabilito dalla stessa Costituzione, all’art. 28 (“I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”).
Il giudice competente non è quello ordinario, bensì la Corte dei conti, alla quale è affidata la materia in via esclusiva. Diverso è anche il soggetto titolare del potere di azione: tale potere è infatti affidato non al “rappresentante legale” dell’amministrazione danneggiata, bensì ad un organo terzo, costituito dalla Procura presso la stessa Corte dei conti.
Il giudizio di responsabilità amministrativa si distingue da quello ordinario anche per il fatto che la determinazione dell’entità del risarcimento è correlata anche alla valutazione di circostanze, criticità e fattori di complessità organizzativa eventualmente rilevanti, attraverso l’uso, da parte del giudice contabile, del c.d. potere riduttivo. Tale potere è invece precluso al giudice civile, in quanto il giudizio di responsabilità civile è tendenzialmente volto alla reintegrazione patrimoniale del danno subito dal danneggiato, indipendentemente dal grado di responsabilità dell’autore dell’illecito.
Ai sensi della vigente normativa, risponde a titolo di responsabilità amministrativa per danno erariale il soggetto che, con dolo o colpa grave, abbia commesso un fatto illecito nell’ambito del rapporto d’impiego o di servizio con la pubblica amministrazione, cagionando a quest’ultima un nocumento patrimoniale.
Il danno erariale può essere:
- diretto: per omesso o irregolare adempimento degli obblighi di servizio (ad es. danneggiamento di un bene pubblico, distrazione di risorse, etc.);
- indiretto: per una condotta produttiva di un danno diretto contro terzi.
È il danno erariale indiretto a venire in rilievo nell’ipotesi considerata dalla norma in esame, ossia quella in cui il nocumento erariale deriva dal fatto che la struttura sanitaria è chiamata innanzi al giudice ordinario per il risarcimento dei danni cagionati a terzi dal medico in rapporto d’impiego o di servizio con essa.
Presupposto dell’illecito erariale è, quindi, l’effettivo esborso di denaro, da parte della struttura sanitaria pubblica, in esecuzione di un precedente titolo giudiziale (sentenza di condanna) o stragiudiziale (transazione all’esito di mediazione). Infatti, il giudizio dinanzi al giudice contabile è volto all’accertamento di una responsabilità per illecito amministrativo, che consiste in un illecito autonomo rispetto a quello civilistico su cui ha statuito la preliminare sentenza del giudice ordinario verso l’amministrazione (o su cui vi è stata una preliminare decisione in sede stragiudiziale). Per questa ragione, la sentenza civile (e, a maggior ragione, il titolo stragiudiziale) non fa stato nell’autonomo giudizio di rivalsa, in quanto tale titolo, pur essendo il presupposto fondante della stessa azione erariale, non si ritiene possa esplicare efficacia vincolante, in termini accertamento/valutazione, nel distinto processo erariale, anche se al giudizio civile o alla procedura stragiudiziale abbia partecipato lo stesso dipendente. Tuttavia, il giudice può comunque trarre da quel diverso giudizio civile elementi probatori utili a formare il proprio autonomo convincimento.
È previsto che, ai fini della quantificazione del danno, il giudice contabile tenga conto delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, in cui l'esercente la professione sanitaria ha esercitato la sua attività. Questa previsione non fa altro che specificare ed adattare alla particolare realtà ospedaliera quegli elementi di criticità oggettiva di profilo organizzativo che sono normalmente tenuti in considerazione in sede di esercizio del “potere riduttivo” dell’entità della condanna, potere che, come specificato precedentemente, è prerogativa esclusiva della Corte dei conti.
In ogni caso, è previsto un limite all’importo della condanna per la responsabilità amministrativa per singolo evento in caso di colpa grave (ma non in caso di dolo): non può superare una somma pari al valore maggiore della retribuzione lorda o del corrispettivo convenzionale conseguiti nell'anno di inizio della condotta causa dell'evento o nell'anno immediatamente precedente o successivo, moltiplicato per il triplo; tale limite si applica sia all'importo della condanna suddetta sia all'importo dell'azione di surrogazione da parte dell'assicuratore che abbia pagato l'indennità (surrogazione, fino alla concorrenza dell'ammontare della suddetta indennità, nei diritti dell'assicurato verso il terzo responsabile). Tale previsione è omologa a quella contenuta nel comma 6 in materia di rivalsa civilistica.
Lo stesso comma 5 aggiunge, inoltre, una serie di misure personali e temporanee di interdizione da alcuni incarichi professionali, prevedendo che, per i 3 anni successivi al passaggio in giudicato della decisione di accoglimento della domanda di risarcimento proposta dal danneggiato, l'esercente la professione sanitaria, nell'ambito delle strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche, non possa essere preposto a incarichi professionali superiori rispetto a quelli ricoperti e che il giudicato costituisca oggetto di specifica valutazione da parte dei commissari nei pubblici concorsi per incarichi superiori.
Anche nell’ambito del giudizio di responsabilità amministrativa vale la previsione di cui al comma 7, ai sensi della quale il giudice può desumere argomenti di prova dalle prove assunte nel giudizio instaurato dal danneggiato solo se l'esercente la professione sanitaria ne sia stato parte.