Trasparenza dei dati
L’articolo 4 è dedicato principalmente all’obbligo di trasparenza dei dati, che da sempre ha caratterizzato il fronte amministrativo: viene qui affermato il principio per cui le prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private devono essere soggette all'obbligo di trasparenza, nel rispetto del D.Lgs. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali, più comunemente chiamato “Codice della privacy”).
Accesso alla documentazione sanitaria
Il secondo comma si occupa di disciplinare i tempi di accesso ai documenti amministrativi e stabilisce che, entro 7 giorni dalla presentazione della richiesta della documentazione sanitaria da parte degli interessati aventi diritto, la direzione sanitaria è tenuta a fornirgliela, preferibilmente in formato elettronico, in conformità alla disciplina sull'accesso ai documenti amministrativi e a quanto previsto dal Codice della privacy. Eventuali integrazioni saranno fornite, in ogni caso, entro il termine massimo di 30 giorni dalla presentazione della suddetta richiesta. È evidente come il legislatore abbia qui voluto riaffermare il principio generale dell’accessibilità agli atti.
La norma introduce il termine “documentazione sanitaria” in luogo di quello tradizionale di “cartella clinica” (intesa come cartella medica, redatta dal medico), andando così a ricomprendere anche altri documenti integrativi della stessa come, ad esempio, la cartella infermieristica o la cartella ostetrica. Mentre la conservabilità perpetua della cartella clinica è disposta da specifiche norme, per gli altri documenti, in assenza prescrizioni normative, il periodo di conservazione e di rilascio è determinato dagli stessi. L’introduzione del concetto di “documentazione sanitaria” ha, di conseguenza, effetti innovativi, in quanto il regime di conservazione, per tutta la documentazione, passa al massimo possibile: illimitatamente nel tempo.
I termini di rilascio della documentazione sanitaria sono due: uno ordinario, di 7 giorni, e l’altro eventuale, di 30 giorni. È probabile, nella prassi, che il termine ordinario di 7 giorni non venga rispettato perché, ad esempio, la struttura potrebbe non essere in condizione di rilasciare immediatamente tutta la documentazione completa a causa della temporanea indisponibilità di alcuni referti diagnostici. Poiché il paziente ha comunque diritto al rilascio della documentazione, la direzione sanitaria dovrà necessariamente avvertirlo della non completezza e della non definitività di tale documentazione e sarà obbligata ad integrarla entro 30 giorni dalla richiesta. Da un punto di vista pratico, spetterà alla direzione sanitaria conservare tutta la documentazione sanitaria del paziente, al quale dovrà essere rilasciata la copia conforme.
Pubblicazione dei dati relativi ai risarcimenti
Al terzo comma si dispone che le strutture sanitarie, pubbliche e private, rendano disponibili, attraverso la pubblicazione sul proprio sito internet, i dati relativi a tutti i risarcimenti erogati nell’ultimo quinquennio, verificati nell'ambito dell'esercizio della funzione di monitoraggio, prevenzione e gestione del rischio sanitario.
Già a partire dal D. Lgs 27 ottobre 2009, n. 150 (c.d. Riforma Brunetta) è stato introdotto l’obbligo per ogni azienda di istituire nel proprio sito internet istituzionale un’apposita sezione denominata “Trasparenza, valutazione e merito”, nella quale andava inserita tutta una serie di informazioni volte a rendere noti al pubblico determinati dati dell’azienda. Con la Legge in commento il numero di informazioni da pubblicare è aumentato e vi si devono aggiungere tutti i dati relativi ai risarcimenti erogati nell’ultimo quinquennio dall’azienda sanitaria.
Riscontro diagnostico e presenza del medico di fiducia in caso di decesso
Il quarto comma, per mezzo dell’inserimento del comma 2-bis all’art. 37 del DPR 10 settembre 1990, n. 285 (regolamento di polizia mortuaria), ha dettato esplicitamente delle regole a sostegno dei diritti dei familiari del paziente deceduto.
Con l’introduzione del comma 2-bis, il quarto comma della Legge innova sotto molteplici aspetti: I) conferisce ai familiari o agli altri aventi titolo del deceduto la facoltà di concordare con il direttore sanitario o sociosanitario l’esecuzione del riscontro diagnostico; II) ciò vale sia nel caso in cui il decesso sia avvenuto in ospedale che in altro luogo; III) conferisce ai familiari la facoltà di disporre la presenza di un medico di loro fiducia.
Ai sensi del regolamento citato, l'espressione “riscontro diagnostico” sta ad indicare la “sezione cadaverica”, ma tuttavia può non limitarsi ad essa, posto che è spesso opportuno integrarla con altre indagini di laboratorio. Prima dell’introduzione del comma 2-bis, l’art. 37 menzionava, tra i soggetti che potevano chiedere il riscontro diagnostico, solamente i medici, seppur diversamente qualificati, a seconda che si trattasse di decesso in struttura sanitaria o di morte avvenuta nel domicilio. Non era quindi contemplata la possibilità per i familiari né di chiedere il riscontro diagnostico (anche se nulla vietava che il medico curante, facendo proprie le loro istanze in tal senso, formulasse lui stesso la richiesta), e neppure di opporsi nel caso in cui questo venisse richiesto da altri.
Con l’introduzione del nuovo comma 2-bis viene instaurato un rapporto formale tra direttore sanitario o sociosanitario della struttura di riferimento e familiari o aventi titolo del deceduto. Mancando una definizione esplicita di questi ultimi soggetti, pare possibile riconoscere in via interpretativa tale ruolo a tutti quei soggetti aventi un rapporto di relazione profonda (non necessariamente di parentela) con il deceduto.
Il nuovo comma 2-bis prevede che la disposizione del riscontro diagnostico sia concordata con un familiare: dunque, il familiare ha la possibilità di presentare richiesta al fine di poter concordare con il direttore che questi disponga il riscontro diagnostico, ma è sempre il direttore della struttura che deve disporlo; ciò ha una ricaduta anche economica: ai sensi del comma 5 dell’art. 37, “le spese per il riscontro diagnostico sono a carico dell’ente che lo ha richiesto”, dunque nessun onere economico incombe sui familiari.
Anche in caso di richiesta da parte dei familiari, l’accertamento diagnostico è disposto essenzialmente per un fine conoscitivo, collegato alla volontà di capire il perché della morte del paziente; la questione specifica dell’errore professionale non costituisce oggetto di valutazione. L’accertamento diagnostico va piuttosto considerato come momento conclusivo di un processo assistenziale, condotto con modalità volte alla ricerca di dati obiettivi, mentre le eventuali considerazioni riguardanti ipotesi di responsabilità professionale potranno essere successivamente elaborate dal consulente tecnico dei familiari, il quale potrà essere un medico diverso da quello che ha eseguito il riscontro diagnostico.
Anche se l’impulso per l’avvio del riscontro diagnostico non è derivato dalla richiesta dei familiari, essi hanno comunque la facoltà di disporre la presenza di un medico di fiducia, il quale non si deve limitare alla mera osservazione di quanto esegue il medico a cui è stato affidato l’accertamento, ma può compiere una serie di attività autonome e parallele.