Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista una donna, che aveva agito in giudizio nei confronti di un medico e della ASL, al fine di ottenere la condanna degli stessi al risarcimento dei danni subiti a seguito di un intervento chirurgico ginecologico.
La donna aveva evidenziato, in particolare, che, al termine di un intervento di parto cesareo, i medici “avevano effettuato la legatura e sezione delle tube, senza il suo consenso e senza che fossero intervenute, nel corso dell'operazione, complicanze tali da giustificare clinicamente un intervento di sterilizzazione d'urgenza”.
La donna riteneva, dunque, che il medico intervenuto e la struttura sanitaria dovessero essere ritenuti responsabili, dal momento che la stessa non aveva mai prestato alcun consenso al suddetto intervento, il quale non era nemmeno stato necessitato dall’andamento del parto cesareo.
Il Tribunale di primo grado aveva accolto la domanda risarcitoria svolta dalla donna e la sentenza era stata confermata dalla Corte d’appello, con la conseguenza che il medico condannato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di non poter aderire alle considerazioni svolte nella sentenza impugnata, accogliendo il ricorso proposto dal medico, in quanto fondato.
Osservava la Cassazione, in primo luogo, che il “consenso informato”, impone che il medico fornisca al paziente, “in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l'intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità ed eventuali conseguenze, sia pure infrequenti”.
Secondo la Cassazione, dunque, il medico viola l’obbligo di fornire idonea informativa al paziente, “non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando ne acquisisca con modalità improprie il consenso”, con la conseguenza che “non può ritenersi validamente prestato il consenso espresso oralmente dal paziente”.
Precisava la Corte, inoltre, che il diritto al consenso informato del paziente va sempre rispettato dal medico, salvo che non ricorrano casi di urgenza e tali da porre in grave pericolo la vita della persona (o si tratti di trattamento sanitario obbligatorio).
Secondo la Cassazione, infine, “in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell'arte (…), ove tale intervento non sia stato preceduto da un'adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento”.
In caso contrario, infatti, non è possibile ricondurre all'inadempimento dell'obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute subito dal paziente.
Ebbene, nel caso di specie, la Corte rilevava come i giudici dei precedenti gradi di giudizio non avessero dato corretta applicazione ai suindicati principi, dal momento che, dagli accertamenti effettuati in corso di causa, non era emerso che la paziente avesse mai allegato che, laddove essa avesse ricevuto una completa e corretta informazione, avrebbe rifiutato l’intervento in questione.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal medico, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima procedesse ad un nuovo esame della questione.