Nell’affermare tale principio, peraltro, gli Ermellini si sono interrogati circa
- la possibilità, in via generale, per il giudice di avvalersi delle massime d’esperienza nella valutazione del materiale probatorio prodotto dalle parti nell’ambito del giudizio risarcitorio;
- la possibilità, in particolare, per il giudice di avvalersi della massima di esperienza per cui il telefono intestato ad una persona sia nella disponibilità esclusiva di questa, al fine di ritenere l’intestatario dell’utenza tenuto al risarcimento del danno da molestia.
- ricordato che le massime di esperienza sono “proposizioni di ordine generale tratte dalla reiterata osservazione dei fenomeni naturali o socioeconomici”;
- ritenuto che senz’altro tali massime d’esperienza possono, in generale, guidare il giudice nella valutazione delle prove;
- affermato - con particolare riferimento al danno morale da molestia mediante telefonate notturne - che l’intestatario dell’utenza deve ritenersi responsabile delle molestie perpetrate dalla linea telefonica dalla quale sono partite le telefonate inesistenti, salva prova contraria o in ogni caso salva l’allegazione di specifiche circostanze che possano fondare un dubbio ragionevole sull’autore.
Tale domanda aveva dunque trovato accoglimento sia in primo che in secondo grado: all’attrice, pertanto, era stato riconosciuto il risarcimento del danno morale.
La sentenza della Corte d’Appello, tuttavia, era stata impugnata dal disturbatore, che – limitatamente a ciò che ora rileva – si doleva dell’incongruo, incomprensibile e illogico ragionamento dei giudici di merito, i quali hanno configurato una “responsabilità oggettiva da posizione” basandosi unicamente sulla titolarità dell’utenza telefonica intestata.
La Cassazione, dunque, nel ritenere il ricorso inammissibile sotto vari profili, ha precisato quanto sopra esposto.