Rivolgersi al giudice o “farsi ragione da sé”? Si tratta di un tema di forte attualità, soprattutto dopo un recente episodio risalente allo scorso giugno.
La vicenda riguarda un uomo, Fabiano Corti, il quale si era recato in Sardegna per le vacanze estive nell’abitazione di sua proprietà. Si tratta di una casa comprata nel 1979 dai genitori di Corti e, poi, alla loro morte, ereditata dai figli.
Giunto sul posto, l’uomo ha scoperto che erano stati effettuati alcuni lavori a sua insaputa e senza alcuna sua autorizzazione: al posto della camera da letto, c’era un muro divisorio.
L’uomo ha denunciato il fatto alle Forze dell’Ordine e le indagini subito sono state subito indirizzate nei confronti del proprietario dell’appartamento confinante.
In particolare, secondo la ricostruzione dei fatti, durante il periodo invernale (quando la casa e il residence erano praticamente vuoti), i vicini di casa sarebbero passati da una porta-finestra, sfondando i muri confinanti a colpi di mazza, incorporando la camera nel proprio appartamento e ricostruendo poi un altro muro divisorio qualche metro più avanti.
Dalle indagini è emerso che i vicini avrebbero agito per “riprendersi” la stanza che, stando alle planimetrie dell’appartamento, è indicata come di loro proprietà.
In pratica, i vicini avrebbero agito in prima persona, facendosi giustizia da soli e rivendicando la proprietà della stanza senza passare per le vie legali.
Attualmente, i vicini risultano indagati per esercizio arbitrario delle proprie ragioni, oltre che per violazione di domicilio e danneggiamento.
Infatti, l’ordinamento italiano non consente il “farsi giustizia da sé”.
Il codice penale (art. 392 e art. 393 c.p.) punisce chiunque, per esercitare un diritto di cui ritiene essere titolare, invece che ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente giustizia da solo con violenza sulle cose (danneggiandole, trasformandole o modificandone la destinazione) o con violenza sulle persone.
Si tratta del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose è punito con la multa fino a 516 euro (art. 392 c.p.). Invece, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone è punito con la reclusione fino ad un anno (art. 393 c.p.).
Quindi, l’ordinamento non ammette che un soggetto si faccia giustizia da solo: la risoluzione delle controversie tra cittadini è riservata all’autorità giudiziaria.
Il primo requisito del reato in esame è l’esistenza di un preteso diritto e la concreta possibilità di ricorrere al giudice per esercitare il preteso diritto.
Può trattarsi di un diritto realmente esistente o di un diritto solo supposto, purché ci siano elementi che rendano verosimile l’esistenza dello stesso. Nel caso concreto, il diritto dei vicini sarebbe sostenuto dalle planimetrie dell’appartamento, da cui risulterebbe la proprietà della stanza.
Nella vicenda, i vicini di casa avrebbero dovuto agire per vie legali, proponendo semmai un’azione di rivendicazione (art. 948 c.c.) per il riconoscimento della loro proprietà e la condanna alla restituzione del bene. Al contrario, essi hanno deciso di agire da soli, arbitrariamente.
Altro requisito è la coscienza e volontà di farsi ragione da sé (dolo generico), con lo specifico intento di esercitare un diritto nel ragionevole convincimento di esserne titolare (dolo specifico), pur potendo rivolgersi al giudice.
In conclusione, per non rischiare di andare sotto procedimento penale come i due vicini del caso visto, si deve evitare di scavalcare il giudice ed occorre, invece, affidarsi alla giustizia per vedere i propri diritti tutelati.
La vicenda riguarda un uomo, Fabiano Corti, il quale si era recato in Sardegna per le vacanze estive nell’abitazione di sua proprietà. Si tratta di una casa comprata nel 1979 dai genitori di Corti e, poi, alla loro morte, ereditata dai figli.
Giunto sul posto, l’uomo ha scoperto che erano stati effettuati alcuni lavori a sua insaputa e senza alcuna sua autorizzazione: al posto della camera da letto, c’era un muro divisorio.
L’uomo ha denunciato il fatto alle Forze dell’Ordine e le indagini subito sono state subito indirizzate nei confronti del proprietario dell’appartamento confinante.
In particolare, secondo la ricostruzione dei fatti, durante il periodo invernale (quando la casa e il residence erano praticamente vuoti), i vicini di casa sarebbero passati da una porta-finestra, sfondando i muri confinanti a colpi di mazza, incorporando la camera nel proprio appartamento e ricostruendo poi un altro muro divisorio qualche metro più avanti.
Dalle indagini è emerso che i vicini avrebbero agito per “riprendersi” la stanza che, stando alle planimetrie dell’appartamento, è indicata come di loro proprietà.
In pratica, i vicini avrebbero agito in prima persona, facendosi giustizia da soli e rivendicando la proprietà della stanza senza passare per le vie legali.
Attualmente, i vicini risultano indagati per esercizio arbitrario delle proprie ragioni, oltre che per violazione di domicilio e danneggiamento.
Infatti, l’ordinamento italiano non consente il “farsi giustizia da sé”.
Il codice penale (art. 392 e art. 393 c.p.) punisce chiunque, per esercitare un diritto di cui ritiene essere titolare, invece che ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente giustizia da solo con violenza sulle cose (danneggiandole, trasformandole o modificandone la destinazione) o con violenza sulle persone.
Si tratta del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose è punito con la multa fino a 516 euro (art. 392 c.p.). Invece, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone è punito con la reclusione fino ad un anno (art. 393 c.p.).
Quindi, l’ordinamento non ammette che un soggetto si faccia giustizia da solo: la risoluzione delle controversie tra cittadini è riservata all’autorità giudiziaria.
Il primo requisito del reato in esame è l’esistenza di un preteso diritto e la concreta possibilità di ricorrere al giudice per esercitare il preteso diritto.
Può trattarsi di un diritto realmente esistente o di un diritto solo supposto, purché ci siano elementi che rendano verosimile l’esistenza dello stesso. Nel caso concreto, il diritto dei vicini sarebbe sostenuto dalle planimetrie dell’appartamento, da cui risulterebbe la proprietà della stanza.
Nella vicenda, i vicini di casa avrebbero dovuto agire per vie legali, proponendo semmai un’azione di rivendicazione (art. 948 c.c.) per il riconoscimento della loro proprietà e la condanna alla restituzione del bene. Al contrario, essi hanno deciso di agire da soli, arbitrariamente.
Altro requisito è la coscienza e volontà di farsi ragione da sé (dolo generico), con lo specifico intento di esercitare un diritto nel ragionevole convincimento di esserne titolare (dolo specifico), pur potendo rivolgersi al giudice.
In conclusione, per non rischiare di andare sotto procedimento penale come i due vicini del caso visto, si deve evitare di scavalcare il giudice ed occorre, invece, affidarsi alla giustizia per vedere i propri diritti tutelati.