L’attuale ministra del turismo, infatti, sarebbe sotto indagine per i reati di falso in bilancio e bancarotta a causa di presunte irregolarità nella gestione delle società del gruppo Visibilia, di cui la Santanchè è fondatrice.
L’indagine riguarda comunicazioni sociali inattendibili degli anni tra il 2016 e il 2020 (periodo in cui la Santanchè era presidente e amministratore delegato della società). False comunicazioni che avrebbero fatto venire a galla con ritardo la crisi economica del gruppo.
L’accusa parla di reati che, a seconda dell’ipotesi e dei comportamenti avuti, sono puniti dal nostro sistema con pene molto severe.
Secondo la Procura, saremmo dinanzi a una frode contabile: compilare un bilancio con dati falsi costituisce reato.
Il “bilancio d’esercizio” è l’insieme di tutti quei documenti contabili che un’impresa deve redigere periodicamente per accertare in modo chiaro, veritiero e corretto la propria situazione patrimoniale e finanziaria.
Il nostro sistema punisce la falsificazione delle comunicazioni sociali attraverso la modifica delle informazioni presenti nei documenti del bilancio (affermando fatti inesistenti od omettendo fatti rilevanti).
Per il falso in bilancio, il codice civile stabilisce la pena della reclusione, che cambia in base ai casi previsti:
- l’art. 2621 c.c. prevede la reclusione da uno a cinque anni per false comunicazioni sociali con riferimento alle società non quotate in borsa;
- l’art. 2621 bis c.c. stabilisce la reclusione da sei mesi a tre anni per fatti di lieve entità con riguardo alle società non quotate in borsa (la “lieve entità” deriva dalle dimensioni e natura della società e dalla condotta avuta);
- l’art. 2622 c.c. prevede la reclusione da tre ad otto anni per il falso in bilancio con riferimento alle società quotate in borsa.
Nell’ipotesi della bancarotta, fermo restando che per la punibilità del reato è necessaria la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore, la Legge Fallimentare (artt. 216 e 217) distingue tra bancarotta fraudolenta e semplice e, a seconda del tipo, la pena prevista cambia.
Nella bancarotta “fraudolenta”, l’imprenditore agisce con volontà ed intento disonesto:
- c’è “bancarotta fraudolenta patrimoniale” se l’imprenditore realizza volontariamente condotte che incidono sui propri beni per creare danno ai creditori (ad es., nasconde o distrugge in tutto o in parte i suoi beni). La pena è la reclusione da tre a dieci anni;
- c’è “bancarotta fraudolenta documentale” se l’imprenditore manomette i documenti contabili (ad es., sottrae, distrugge o falsifica in tutto o in parte tali documenti) allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di creare danno ai creditori. Questa ipotesi di reato è punita con la reclusione da tre a dieci anni;
- c’è “bancarotta fraudolenta preferenziale” quando l’imprenditore favorisce alcuni creditori rispetto ad altri. La pena prevista è quella della reclusione da uno a cinque anni.
Invece, la bancarotta semplice è quella realizzata con negligenza, imprudenza o imperizia da parte dell’imprenditore: non c’è dolo (ad es., consuma gran parte del patrimonio in operazioni economicamente incomprensibili; aggrava la sua crisi economica perché non richiede la dichiarazione del proprio fallimento). La pena va da sei mesi a due anni di reclusione.
Non resta che attendere gli eventuali sviluppi delle indagini nelle prossime settimane, per capire se la Procura deciderà di portare effettivamente a processo la ministra Santanchè e se lo farà contestando alla ministra entrambe le ipotesi di reato viste.