Ai sensi dell’
art. 612 bis del c.p. si rende colpevole del
delitto di “
atti persecutori”, maggiormente conosciuto come “
stalking”, chiunque “
con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
Si tratta di un
reato abituale caratterizzato dalla
reiterazione delle
minacce o
molestie, protratte per un certo lasso di tempo in modo seriale e comportanti tre differenti eventi tra loro alternativi, costituiti dal
perdurante e grave stato di ansia della vittima; dal
fondato timore per la propria
incolumità o per quella di persona legata affettivamente o, infine, dalla
costrizione ad
alterare le proprie abitudini di vita.
Inoltre, come affermato dalla giurisprudenza consolidata, per la prova dello stato di ansia e paura della vittima dello "stalking" non occorre necessariamente una
perizia medica. Il
giudice, infatti, può basarsi sulle sole dichiarazioni della vittima purché le stesse risultino chiare, precise e prive di contraddizioni.
La
Corte di Cassazione, con
sentenza n. 28340 dell’11 febbraio 2019, si è occupata di un particolare caso di stalking realizzato all’interno di una struttura condominiale, confermando la misura cautelare della custodia in carcere per alcuni condomini che avevano posto in essere condotte reiterate volte ad ingenerare nei vicini un perdurante stato di ansia e paura.
L’elemento soggettivo del reato è costituito dal dolo generico, consistente nell'intenzione di porre in essere le condotte di minaccia e di molestia, senza avere come obiettivo un fine ulteriore e specifico, ma con la semplice rappresentazione e volontà delle conseguenze prodotte con il proprio comportamento.
La Corte di cassazione ha affermato che la misura custodiale in carcere disposta nei confronti degli imputati molestatori era giustificata dalle peculiari modalità con cui i condomini mettevano in atto i loro atti persecutori, ovvero attraverso il danneggiamento degli immobili dei vicini, a volte seguito anche dall’incendio degli stessi. Attraverso questo comportamento era innegabile come gli imputati creassero nell’abitazione condominiale un clima di sopraffazione e sopruso, rendendo necessaria l'applicazione di una misura cautelare particolarmente restrittiva.
Inoltre, gli ermellini hanno affermato che
non è necessario, ai fini della configurazione del
reato, la realizzazione di numerose condotte prevaricatrici, bastando anche la successione di
due sole condotte, pur commesse all'interno di un breve lasso temporale.
L’art.
612 bis citato, infatti,
non postula, ai fini dell’integrazione del reato, la ripetizione delle condotte per un lungo intervallo di tempo.