Nel caso esaminato dal Tribunale, la madre di un minore aveva agito in giudizio al fine di veder accertata la paternità biologica del presunto padre, con ogni ulteriore statuizione in materia di mantenimento e risarcimento del danno.
Nel corso del giudizio, il giudice disponeva l’esecuzione di un’apposita consulenza tecnica, al fine di effettuare le analisi mediche del caso (test del DNA), la quale, tuttavia, non poteva essere effettuata, stante il rifiuto opposto dal presunto padre.
Secondo il Tribunale, la domanda di dichiarazione giudiziale della paternità meritava, comunque, di essere accolta.
Osservava il Giudice, infatti, come fosse stato dimostrato che, nel corso del 2011, tra l’attrice e il convenuto era intervenuta una relazione sentimentale e le tempistiche erano compatibili con la nascita del figlio.
Inoltre, “la contestazione del convenuto circa la frequentazione da parte dell’attrice di altri uomini, ove considerata in relazione al rifiuto del medesimo convenuto di sottoporsi al test”, secondo il Giudice, non faceva che “rafforzare il valore indiziario da attribuire a tale comportamento”, così da consentire di considerare “raggiunta la prova della paternità”.
In proposito, il Tribunale osserva come anche la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13885 del 6 luglio 2015, ha precisato che “nel giudizio promosso per l’accertamento della paternità naturale, non sussistendo un ordine gerarchico delle prove riguardanti l’accertamento giudiziale della paternità e maternità naturale, stante il tenore letterale dell’art. 269, comma 2, c.c., il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche – nella specie opposto dal presunto padre – anche in mancanza di prova dell’esistenza di rapporti sessuali tra le parti, costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116, comma 2, c.p.c., di così elevato valore indiziario da potere, anche da solo, consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda”.
In altri termini, il Giudice ricorda, come nell’ambito dell’azione per la dichiarazione giudiziale della paternità o maternità naturale, assume notevole rilevanza il comportamento tenuto dalle parti in causa, dal momento che il Giudice può consentire raggiunta la prova della maternità o paternità anche sulla base del solo fatto che il presunto padre o la presunta madre si siano rifiutati di sottoporsi alle analisi mediche necessarie all’accertamento della relazione biologica.
Ricorda il Tribunale, infatti, che “mentre non può bastare sul piano probatorio la sola dimostrazione della esistenza di una relazione tra la madre e il presunto padre – nella fattispecie, peraltro, pacificamente ammessa dal convenuto – può, invece, assumere valore decisivo il rifiuto del presunto padre di sottoporsi agli esami di laboratorio in grado di fornire la ragionevole certezza sul piano scientifico del rapporto di filiazione”.
Il Giudice, dopo aver accolto la domanda di dichiarazione giudiziale della paternità naturale, passava all’esame delle domande relative al mantenimento e al risarcimento del danno.
Per quanto riguarda il mantenimento, il Giudice ricordava come tale obbligo sorge per il solo fatto della filiazione e non per effetto della dichiarazione giudiziale di paternità.
A seguito dell’accertamento della paternità, dunque, il genitore assumerà “tutti i diritti e doveri del genitore, primo fra tutti quello di contribuire, unitamente alla madre, a decorrere dalla nascita, al mantenimento del minore”.
Per quanto concerne l’affidamento del figlio e il diritto di visita, il Giudice, tenuto conto della “attuale estraneità del padre” e del “comportamento processuale tenuto dal medesimo rispetto al minore”, disponeva “l’affidamento in via esclusiva alla madre, con facoltà del padre di vederlo ogni qualvolta lo vorrà, previo accordo con la madre”.
Quanto, infine, alla domanda risarcitoria, la medesima, invece, secondo il Giudice, non poteva trovare accoglimento, dal momento che non risultava provata “la consapevolezza del concepimento da parte dell’uomo risultato essere successivamente il genitore”.