Il reddito di cittadinanza, si sa, non esiste più ed è stato sostituito - tra non poche critiche e polemiche - dalla diversa misura dell’assegno di inclusione a partire dal 1° gennaio 2024.
Tuttavia è possibile che siano ancora in piedi, com’è comprensibile, le controversie giudiziarie sorte nel vigore delle vecchie norme e riguardanti, appunto, l’abrogata disciplina del reddito di cittadinanza: che aveva, tra l’altro, anche importanti risvolti penali.
Ed è proprio da un processo penale che trae origine la sentenza della Corte Costituzionale che stiamo per esaminare in questa sede, la n. 54 del 29 marzo 2024.
Come sappiamo, infatti, tra i compiti della Corte Costituzionale c'è quello di giudicare la costituzionalità, cioè la conformità alla nostra Costituzione, di norme di legge che debbano essere applicate in un processo, sia esso civile, penale o amministrativo.
Ciò significa che, se in un processo il giudice ritiene che una data norma, che sia rilevante per la decisione, sia contraria alla Costituzione, può sollecitare la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale per decidere quella che viene definita “questione di legittimità costituzionale in via incidentale”.
Attenzione: è sempre il giudice del processo a sollevare la questione, e può farlo anche d’ufficio, cioè di propria iniziativa; le parti del processo invece possono semmai chiedere al giudice di trasmettere gli atti, ma sarà comunque il giudice a valutare se ne sussistono i presupposti, che sono - come si è detto - la rilevanza della questione per decidere quel determinato processo, oltre alla non manifesta infondatezza della questione).
Nel nostro caso, la questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Foggia, dinanzi al quale un uomo era sotto processo perché accusato di aver chiesto (e ottenuto) il reddito di cittadinanza senza dichiarare precedenti vincite al gioco e non aver comunicato le ulteriori somme, vinte sempre al gioco, nel periodo in cui appunto percepiva il reddito di cittadinanza.
Il giudice rimettente - cioè il giudice che ha sollevato la questione - dubitava appunto della costituzionalità degli artt. 3, comma 11, e 7, commi 1 e 2, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, in riferimento agli artt. 2, 3, 25 e 27 della Costituzione.
Tuttavia, la Corte ha respinto il ricorso.
La vicenda è riassunta nel Comunicato del 29 marzo 2024 dell’Ufficio Stampa della Corte Costituzionale, emesso in occasione della pubblicazione della sentenza. Il comunicato è intitolato significativamente “Il reddito di cittadinanza non può aiutare chi si rovina con il gioco”.
Come ribadito nella sentenza in esame e nel comunicato stampa citato, il reddito di cittadinanza (Rdc) “risulta strutturato in modo da non poter venire in aiuto alle persone che, in forza delle vincite lorde da gioco conseguite nel periodo precedente alla richiesta, superino le soglie reddituali di accesso, anche se, a causa delle perdite subite, sono rimaste comunque povere”.
Infatti, secondo la Corte, “non è la povertà da ludopatia [cioè la dipendenza dal gioco d’azzardo, n.d.r.], ma è piuttosto la ludopatia stessa a rappresentare uno di quegli ostacoli di fatto che è compito della Repubblica rimuovere”.
Sempre secondo la sentenza n. 54/2024, "la giocata on line assume il carattere di una qualunque spesa, in questo caso voluttuaria, che la persona ha effettuato con un reddito di cui ha la disponibilità, coincidente con l’accreditamento delle vincite sul suo conto gioco; non si può, quindi, pretendere che la solidarietà pubblica si faccia carico di una spesa di tal genere”.
Quindi le vincite al gioco devono essere dichiarate, ribadisce la Corte Costituzionale; e la situazione di povertà “in cui la persona si sia venuta a trovare nonostante le vincite è, insomma, comunque quella di chi, avendo una disponibilità economica, l’ha dissipata giocando”.
La Corte ha, dunque, rigettato le questioni di legittimità costituzionale delle citate norme sul RdC.
Tuttavia è possibile che siano ancora in piedi, com’è comprensibile, le controversie giudiziarie sorte nel vigore delle vecchie norme e riguardanti, appunto, l’abrogata disciplina del reddito di cittadinanza: che aveva, tra l’altro, anche importanti risvolti penali.
Ed è proprio da un processo penale che trae origine la sentenza della Corte Costituzionale che stiamo per esaminare in questa sede, la n. 54 del 29 marzo 2024.
Come sappiamo, infatti, tra i compiti della Corte Costituzionale c'è quello di giudicare la costituzionalità, cioè la conformità alla nostra Costituzione, di norme di legge che debbano essere applicate in un processo, sia esso civile, penale o amministrativo.
Ciò significa che, se in un processo il giudice ritiene che una data norma, che sia rilevante per la decisione, sia contraria alla Costituzione, può sollecitare la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale per decidere quella che viene definita “questione di legittimità costituzionale in via incidentale”.
Attenzione: è sempre il giudice del processo a sollevare la questione, e può farlo anche d’ufficio, cioè di propria iniziativa; le parti del processo invece possono semmai chiedere al giudice di trasmettere gli atti, ma sarà comunque il giudice a valutare se ne sussistono i presupposti, che sono - come si è detto - la rilevanza della questione per decidere quel determinato processo, oltre alla non manifesta infondatezza della questione).
Nel nostro caso, la questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Foggia, dinanzi al quale un uomo era sotto processo perché accusato di aver chiesto (e ottenuto) il reddito di cittadinanza senza dichiarare precedenti vincite al gioco e non aver comunicato le ulteriori somme, vinte sempre al gioco, nel periodo in cui appunto percepiva il reddito di cittadinanza.
Il giudice rimettente - cioè il giudice che ha sollevato la questione - dubitava appunto della costituzionalità degli artt. 3, comma 11, e 7, commi 1 e 2, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, in riferimento agli artt. 2, 3, 25 e 27 della Costituzione.
Tuttavia, la Corte ha respinto il ricorso.
La vicenda è riassunta nel Comunicato del 29 marzo 2024 dell’Ufficio Stampa della Corte Costituzionale, emesso in occasione della pubblicazione della sentenza. Il comunicato è intitolato significativamente “Il reddito di cittadinanza non può aiutare chi si rovina con il gioco”.
Come ribadito nella sentenza in esame e nel comunicato stampa citato, il reddito di cittadinanza (Rdc) “risulta strutturato in modo da non poter venire in aiuto alle persone che, in forza delle vincite lorde da gioco conseguite nel periodo precedente alla richiesta, superino le soglie reddituali di accesso, anche se, a causa delle perdite subite, sono rimaste comunque povere”.
Infatti, secondo la Corte, “non è la povertà da ludopatia [cioè la dipendenza dal gioco d’azzardo, n.d.r.], ma è piuttosto la ludopatia stessa a rappresentare uno di quegli ostacoli di fatto che è compito della Repubblica rimuovere”.
Sempre secondo la sentenza n. 54/2024, "la giocata on line assume il carattere di una qualunque spesa, in questo caso voluttuaria, che la persona ha effettuato con un reddito di cui ha la disponibilità, coincidente con l’accreditamento delle vincite sul suo conto gioco; non si può, quindi, pretendere che la solidarietà pubblica si faccia carico di una spesa di tal genere”.
Quindi le vincite al gioco devono essere dichiarate, ribadisce la Corte Costituzionale; e la situazione di povertà “in cui la persona si sia venuta a trovare nonostante le vincite è, insomma, comunque quella di chi, avendo una disponibilità economica, l’ha dissipata giocando”.
La Corte ha, dunque, rigettato le questioni di legittimità costituzionale delle citate norme sul RdC.