Tale particolare ipotesi di reato si configura nel caso di reiterazione nel tempo da parte dello stesso soggetto agente di più condotte identiche od omogenee.
Una difficoltà interpretativa può sorgere quando ci si trovi al cospetto di episodi di maltrattamento intervallati però da momenti di quiete e astensione dalle violenze.
Ci si può chiedere, in particolare, se le pause tra un episodio e l'altro valgano a neutralizzare l'intera condotta lesiva, volta a ledere l'integrità psico fisica della vittima.
A tal riguardo, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 19776 dell'8 maggio 2019, ha statuito che non è necessario che gli atti di natura vessatoria perpetrati nei confronti della vittima siano posti in essere per un tempo continuativo e mai interrotto. A patto che il periodo in cui si verificano le violenze sia prolungato, non rilevano gli eventuali periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo che si frappongano tra una condotta e l'altra.
Nel caso sottoposto all'attenzione dei giudici della Cassazione, l'imputato sosteneva che la verificazione di soli tre episodi aggressivi lungo un arco temporale di circa due anni, non valesse a configurare il reato di cui all'art. 572 c.p.
La Corte di Cassazione, di contrario avviso, ha invece ritenuto integrato il reato di maltrattamenti, perfezionato da condotte eterogenee che spaziano dalle vere e proprie violenze fisiche e morali, come percosse, lesioni, ingiurie e minacce, fino agli episodi di disprezzo, umiliazione e offesa alla dignità della vittima.
Tale reato, si legge nella motivazione della sentenza, è da ritensersi configurato non solo quando le condotte sistematiche siano continuative e ininterrotte, ma anche quando esse siano intervallate da condotte prive di tale connotazione sopraffattrice, o anzi pacifiche e concilianti nei confronti della vittima.
Tali condotte "interruttive", infatti, non appaiono sufficienti a rimuovere il carattere di abitualità del reato di maltrattamenti, poichè le precedenti condotte lesive della dignità altrui matengono un disvalore che si protrae nel tempo, e non viene vanificato dalla semplice presenza di sporadici episodi di segno contrario.
Dal punto di vista dell'elemento soggettivo del reato, è sufficiente provare in capo all'imputato la consapevolezza di cagionare un perdurante e significativo stato di malessere in capo alla vittima, a lui sottoposta per ragioni di autorità o di affidamento.