In questo caso, se il condominio ci chiede il pagamento delle spese condominiali, siamo costretti a pagarle o possiamo rifiutarci, in ragione del fatto che non abbiamo potuto godere dei beni e dei servizi condominiali?
Proprio su questa questione è intervenuta la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3354 del 19 febbraio 2016, con la quale sono state fornite alcune interessanti precisazioni in proposito.
Nel caso all’esame della Corte, alcuni condomini si erano opposti alla richiesta di pagamento delle spese condominiali, in considerazione dell’assenza di abitabilità dell’immobile stesso, a seguito di un sequestro che era stato disposto in sede penale, il quale aveva impedito loro di godere del bene nei periodi estivi.
Il condominio aveva quindi proceduto al tentativo di recupero del credito mediante deposito e notifica di un decreto ingiuntivo, cui i condomini avevano fatto opposizione, eccependo sia la questione sopra esposta, sia rilevando come le delibere assembleari relative all’approvazione delle spese condominiali sarebbero state invalide.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non ritiene di poter accogliere le argomentazioni svolte dai condomini ricorrenti, ribadendo, in primo luogo, come i condomini siano sempre tenuti a pagare le spese condominiali, indipendentemente dal fatto che gli stessi possano o meno usufruire dei beni comuni in un determinato momento.
Infatti, i condomini, sono tenuti a pagare le spese condominiali per il solo fatto di essere comproprietari dell’immobile, con la conseguenza che appare del tutto irrilevante l’impossibilità di fruire dello stesso per un certo periodo di tempo.
Nello specifico, secondo la Corte, “in tema di condominio non è possibile sottrarsi all’obbligazione di pagare i contributi invocando l’eccezione di inadempimento ovvero di mancato godimento del bene comune, essendo da escludere un rapporto di sinallagmaticità fra prestazioni con riferimento al pagamento dei contributi che trae origine da un obligatio propter rem derivante dalla comproprietà”.
La Corte di Cassazione, inoltre, non ritiene di poter accogliere nemmeno l’altro motivo di opposizione, relativo all’asserita invalidità delle delibere assembleari.
Osservano, infatti i giudici, che eventuali vizi delle delibere dell’assemblea devono essere fatti valere attraverso l’apposito strumento dell’impugnazione, esercitabile a penda di decadenza nel termine di 30 giorni dalla delibera stessa.
Infatti, secondo l’orientamento costante della Corte di Cassazione, la delibera assembleare non impugnata legittima sia la richiesta del decreto ingiuntivo, sia anche la successiva sentenza di condanna che venga emanata a seguito dell’opposizione al decreto ingiuntivo stesso (Cass. 2387/2003, 7261/2002).
In particolare, in tal senso si è pronunciato anche il Tribunale di Genova, con la sentenza n. 3778 del 2014, con la quale si è ribadito come “nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi condominiali, il giudice deve limitarsi a verificare la perdurante esistenza ed efficacia delle relative delibere assembleari, senza poter sindacare, in via incidentale, la validità delle stesse, trattandosi di una questione verificabile solamente innanzi al giudice investito dell'impugnazione delle delibere medesime. Le delibere costituiscono, infatti, prova dell'esistenza del credito vantato dal condominio ed in quanto tale sono fonte di legittimazione non solo per la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche per la condanna dei condomini morosi al pagamento del somme nel giudizio di opposizione eventualmente proposto per la revoca del decreto ingiuntivo”
In altri termini, ciò sta a significare che se il Condominio ci invia un decreto ingiuntivo per il recupero del credito relativo al pagamento delle spese condominiali deliberate dall’assemblea, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo stesso, possiamo solo far valere le nostre ragioni relative ai motivi per cui tale credito deve ritenersi inesistente, mentre non possiamo far valere i vizi della delibera stessa, che, invece, devono essere fatti valere attraverso l’apposita impugnazione.