La vicenda aveva avuto origine dal
rigetto, da parte del Questore di Nuoro, dell’
istanza di rilascio della
licenza di porto di fucile per uso caccia proposta da un soggetto sulla base dell’esistenza, a suo carico, di diversi procedimenti penali, di cui alcuni si erano conclusi con declaratoria di
prescrizione del reato o di mancanza delle
condizioni di procedibilità, mentre un altro con la condanna alla reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici per il
delitto di falso ideologico.
Nonostante nel frattempo fosse intervenuta
sentenza di riabilitazione e, per questa ragione, il
prefetto di Nuoro avesse revocato il divieto di detenzione di
armi e
munizioni, il Questore aveva ritenuto il profilo del richiedente
non idoneo ad ottenere l’autorizzazione, la quale presuppone un "alto profilo" di buona condotta ed osservanza delle leggi.
Il decreto veniva perciò impugnato dal richiedente, che ne chiedeva l'annullamento previa tutela cautelare, ma il TAR Sardegna respingeva il ricorso, ritenendo corretta la valutazione del Questore. Veniva così proposto
appello.
Il Consiglio di Stato, sez. III, si è pronunciato con la sentenza n. 3199/2020, accogliendo il
ricorso. Il C.d.S. ha innanzitutto ribadito la consolidata giurisprudenza che afferma che
il porto d’armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, ma rappresenta un’eccezione ad un divieto e può essere concesso solo a fronte dell’assoluta sicurezza circa il buon uso delle
armi, in modo da scongiurare qualsiasi dubbio circa un possibile turbamento dell'
ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività. Di conseguenza, il giudizio che l’
autorità di pubblica sicurezza è chiamata a compiere è connotato da
ampia discrezionalità, ed è
“sindacabile solo a fronte di vizi che afferiscano all’abnormità, alla palese contraddittorietà, all’irragionevolezza, illogicità, arbitrarietà, al travisamento dei fatti” (C.d.S. sent. n. 4403/2019; n. 1972/2019; n. 655/2018; n. 3435/2018).
Già in precedenze il Consiglio di Stato aveva affermato che
“l’autorizzazione alla detenzione e al porto d’armi postulano che il beneficiario osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell’ordine pubblico, nonché delle regole di civile convivenza”. Dunque, l’Autorità di Pubblica Sicurezza deve compiere una valutazione caratterizzata da ampia discrezionalità, allo scopo di prevenire, per quanto possibile, l’abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili; è possibile ritenere un soggetto “
non affidabile” anche quando non vi siano state a suo carico condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma il soggetto si trovi comunque nella situazione di aver commesso fatti genericamente non ascrivibili a "buona condotta" (C.d.S. sent. n. 8360/2019; n. 3590/2016).
Il
giudizio prognostico che l’autorità è chiamata a compiere in materia deve essere effettuato
“sulla base del prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti nella concreta fattispecie, al fine di verificare il potenziale pericolo rappresentato dalla possibilità di utilizzo delle armi possedute, e deve estrinsecarsi in una congrua motivazione, che consenta in sede giurisdizionale di verificare la sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o arbitrarie” (C.d.S. sent. n. 5039/2014 e n. 1521/2014; nello stesso senso sent. n. 2576/2006).
Dal combinato disposto degli art.
11 e
43 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (t.u.l.p.s.) emerge che la
ratio alla base della normativa che disciplina le autorizzazioni al porto d’armi consiste nell’evitare che esse vengano rilasciate
“a soggetti che, per i loro comportamenti pregressi, denotino scarsa affidabilità sul corretto loro uso, potendo in astratto costituire un pericolo per l’incolumità e per l’ordine pubblico”. Tuttavia, per giustificare il diniego è necessario che i precedenti comportamenti del richiedente siano
sintomatici di una personalità violenta, di un’inclinazione a risolvere situazioni di conflittualità o di attentare all’altrui patrimonio anche con ricorso alle armi. È quindi necessario operare una prognosi
ex ante circa l’idoneità del soggetto a garantire un corretto uso delle armi senza creare turbativa all’ordine sociale (C.d.S. sent. n. 5129/2013).
Il
consiglio di stato ha pertanto affermato che l’attività istruttoria espletata dall’amministrazione deve essere congrua ed adeguata, e deve esserne dato conto in motivazione. Il soggetto richiedente deve essere valutato complessivamente,
“tenendo conto anche del suo percorso di vita successivo agli eventuali episodi ostativi, e ciò in particolare laddove tali episodi, come nel caso in esame, siano risalenti nel tempo”.
Di conseguenza, il diniego al rilascio della licenza di porto d’armi è
illegittimo quando abbia attribuito rilievo esclusivo a condotte risalenti,
“senza considerare gli ulteriori elementi (in particolare: gli elementi che erano stati valutati dal prefetto ai fini della revoca del divieto di detenzione di armi e munizioni), che pure emergevano dagli atti e che avrebbero consentito all'Amministrazione una valutazione sull'affidabilità attuale del soggetto”.
Alla luce di queste premesse, il Consiglio di stato ha accolto il ricorso e riformato la sentenza del TAR.