Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2966 del 15 luglio 2016, si è occupato proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni in proposito.
Nel caso di specie, la Prefettura di Genova aveva confermato, nei confronti dell’appellante, il divieto di detenere armi e munizioni, in applicazione dell’art. 39 del testo unico n. 773 del 1931.
Il soggetto in questione impugnava tale provvedimento dinanzi al T.A.R. Liguria, il quale accoglieva il relativo ricorso.
Il Ministero dell’Interno, quindi, presentava appello dinanzi al Consiglio di Stato, chiedendo che, in riforma della sentenza di primo grado, il ricorso fosse respinto, in quanto la Prefettura, a detta del Ministero, avrebbe adeguatamente valutato i fatti emersi nel corso del procedimento.
Il Consiglio di Stato riteneva, effettivamente, di dover aderire alle argomentazioni svolte dal Ministero ricorrente, accogliendo il relativo ricorso.
Osserva il Consiglio, infatti, che il testo unico sopra citato individua i casi in cui l’autorità amministrativa ha il potere di vietare la detenzione di armi e munizioni, laddove sia riscontrabile una capacità del soggetto interessato di abusarne o qualora sia valutata l’assenza di “buona condotta” da parte del medesimo, il quale voglia detenere le armi al fine di commettere fatti che, “pure se estranei alla gestione delle armi, munizioni e materie esplodenti (…), non rendano meritevoli di ottenere o mantenere la licenza polizia”, con la precisazione che non occorre, al riguardo, “un giudizio di pericolosità sociale dell’interessato”.
Nel caso di specie, rileva il Consiglio di Stato come la Prefettura avesse riscontrato “l’esistenza di un aspro dissidio” tra l’interessato e un suo condomino, “sfociato in reciproche denunce”, con la conseguenza che ciò appariva “sufficiente a suscitare ragionevoli dubbi circa l’assenza di serene relazioni civili con gli altri consociati”.
Di conseguenza, secondo il Consiglio di Stato, risultava “del tutto ragionevole” la valutazione della Prefettura, la quale “ha inteso evitare che la situazione possa degenerare, vietando la detenzione di armi e munizioni nei confronti di chi sia comunque coinvolto in contrasti coi vicini”.
Alla luce di tali considerazioni, il Consiglio di Stato riteneva di dover accogliere l’appello presentato dal Ministero dell’Interno, condannando la controparte al pagamento delle spese processuali.