Un esempio è l’isopensione, che consente di andare in pensione fino a 7 anni prima del raggiungimento dei requisiti pensionistici. Tuttavia, l’isopensione ha un costo particolarmente elevato per l’azienda la quale, infatti, per permettere al lavoratore di anticipare il pensionamento, deve sostenere l’intera spesa. Esistono però altre alternative, accessibili sfruttando le varie opzioni e tutele previste dal sistema previdenziale.
In questo articolo, in particolare, analizzeremo un metodo che permette di anticipare la pensione di circa 4 anni, beneficiando del supporto aziendale, ma ad un costo inferiore rispetto all’isopensione.
Prima di tutto, va chiarito che questo sistema non è applicabile a tutti, ma solo ai lavoratori che hanno accumulato:
- 12 mesi di contributi prima dei 19 anni di età;
- un contributo settimanale entro il 31 dicembre 1995;
- 39 anni di contributi totali.
Prima di procedere con l’analisi di tale opzione, è opportuna una breve premessa sull’isopensione, nota anche come “esodo dei lavoratori anziani”. Si tratta di uno strumento introdotto dalla riforma Fornero e utilizzabile solo dalle aziende con più di 15 dipendenti, in forza di un accordo sottoscritto tra l’azienda, l’Inps e i sindacati dei lavoratori.
Questo meccanismo offre la possibilità di anticipare il pensionamento fino a un massimo di 4 anni rispetto ai requisiti stabiliti dalla normativa Fornero, a condizione che l’azienda esodante si faccia carico, completamente a sue spese, di erogare ai lavoratori un assegno che sia equivalente all'importo della pensione. Questo assegno - denominato appunto isopensione - è destinato a coprire l’intero periodo di anticipazione, fino al raggiungimento dei requisiti per la pensione definitiva.
Per il periodo compreso tra il 1° gennaio 2018 e il 31 dicembre 2026, il periodo di anticipazione è stato ampliato da 4 a 7 anni, secondo quanto previsto dall'art. 1, comma 160 della l. 205/2017 (legge di bilancio 2018). Oltre all'assegno, l'azienda è tenuta a versare anche i contributi necessari per garantire la copertura previdenziale del lavoratore fino al conseguimento dei requisiti per la pensione definitiva, senza che ciò comporti penalizzazioni sull'importo della pensione finale per il lavoratore.
Il primo step consiste nel raggiungimento di un’intesa tra l'azienda e le principali organizzazioni sindacali, al fine di gestire gli esuberi di personale.
Una volta firmato questo accordo quadro, i lavoratori possono decidere se aderire al piano di esodo pensionistico, anche se spesso l'azienda offre incentivi per incoraggiare l'adesione.
È importante notare che l'accordo può essere stipulato anche in seguito a una procedura di licenziamento collettivo. In entrambi i casi, è fondamentale che l'accordo finale, sottoscritto dalle organizzazioni sindacali individuate dalla legge, contenga informazioni chiare sulla situazione di eccedenza del personale, il numero di lavoratori in esubero e il termine entro il quale il programma di esodo deve essere completato.
Solo i lavoratori cui manchino al massimo 4 anni (o 7 anni nel periodo dal 2018 al 2026) per raggiungere i requisiti per la pensione di vecchiaia o per la pensione anticipata possono accedere a questo programma. Per esempio, se un’azienda decide di applicare il massimo scivolo di sette anni nel 2024, un lavoratore di 60 anni e 4 mesi potrebbe partecipare, con la pensione di vecchiaia che verrebbe raggiunta nel 2031 a 67 anni e 4 mesi. Tuttavia, questa misura non può essere utilizzata per ottenere pensioni attraverso il sistema di Quota 100, Quota 102 o Quota 103.
Il costo finanziario dell'isopensione è interamente a carico dell'azienda, che deve assicurare i fondi necessari all'Inps per il pagamento dell'assegno e l'accredito dei contributi relativi al periodo di isopensione. Per tutelare i lavoratori in caso di difficoltà economiche dell'azienda, la legge richiede che il datore di lavoro presenti una fideiussione bancaria all'Inps.
Questa garanzia consente all'ente previdenziale di richiedere il pagamento delle rate al garante, in caso di interruzione dei pagamenti da parte dell'azienda. Se l'insolvenza persiste per 180 giorni, l'Inps può escutere l'intera fideiussione per continuare a erogare il trattamento previsto. Tuttavia, se anche il garante non adempie ai pagamenti, l'Inps non erogherà la prestazione né accrediterà i contributi figurativi.
L’assegno di isopensione corrisponde a una somma economica che supporta il lavoratore fino al pensionamento. L'importo dell'assegno è equivalente a quello che il lavoratore riceverebbe al momento del pensionamento secondo le normative in vigore, escluse le contribuzioni figurative che il datore di lavoro deve versare per il periodo di esodo.
Di conseguenza, l'assegno di isopensione sarà leggermente inferiore rispetto alla pensione che il lavoratore percepirà una volta cessato il pagamento dell’assegno, a causa della mancanza di contribuzione figurativa.
Come detto, quindi, l’isopensione è uno strumento indubbiamente vantaggioso, ma particolarmente costoso per il datore di lavoro.
Proprio per questo motivo, potrebbe essere opportuno esplorare strade ed opzioni alternative.
Una di queste è attuabile solo con la collaborazione del datore di lavoro, il quale deve procedere con il licenziamento del dipendente per permettergli di accedere all’indennità di disoccupazione (Naspi). L'indennità è riconosciuta a coloro che abbiano perso involontariamente il lavoro, in presenza dei seguenti requisiti:
- lo stato di disoccupazione;
- almeno 13 settimane di contribuzione, nei 4 anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione.
La domanda di Naspi può essere presentata anche dai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa e nei casi di risoluzione consensuale del contratto di lavoro, intervenuta nell'ambito della procedura obbligatoria di conciliazione nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
In merito alla durata, la Naspi è corrisposta mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi 4 anni. Inoltre, ai fini del calcolo della durata, non sono computati i periodi contributivi che abbiano già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione.
Il licenziamento ha un costo per l’azienda, ma è sicuramente inferiore rispetto a quello necessario per l’isopensione che, come abbiamo visto, è particolarmente elevato.
Una volta ottenuto il licenziamento, il lavoratore può fare domanda per la Naspi, che viene erogata per la metà delle settimane contributive maturate negli ultimi 4 anni. Chi ha lavorato a lungo in azienda può ricevere l’indennità per 2 anni, ma il suo ammontare sarà comunque inferiore allo stipendio e verrà pagata per 12 mensilità all’anno.
Negli ultimi mesi si è parlato molto di Quota 41, una misura che il Governo intende introdurre come alternativa alla pensione anticipata.
Con Quota 41, infatti, si può andare in pensione con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età, rispetto ai 42 anni e 10 mesi richiesti dalla pensione anticipata (41 anni e 10 mesi per le donne).
Pochi sanno, però, che Quota 41 è già disponibile, anche se riservata a determinate categorie. Bisogna infatti essere lavoratori precoci, con 12 mesi di contributi versati entro i 19 anni di età e avere almeno un contributo settimanale versato entro il 31 dicembre 1995.
Attualmente, Quota 41 è disponibile solo per alcune categorie, inclusi i disoccupati che hanno smesso di percepire la Naspi da almeno 3 mesi.
Quindi, dopo aver terminato il periodo di Naspi e decorsi altri 3 mesi, è possibile fare domanda per andare in pensione con Quota 41. In questo modo, si può cessare l’attività lavorativa quasi 4 anni prima rispetto ai requisiti della pensione anticipata tradizionale.