Innanzitutto, la legge (l’art. 2, comma 2 della L. n. 335/1995) prevede che, quando il rapporto di lavoro termina per un’infermità per cui il dipendente pubblico si trova nella totale e definitiva impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa, egli ha diritto alla pensione per inabilità assoluta e permanente.
Per richiedere questa pensione, l’interessato deve presentare domanda all’ente datore di lavoro, allegando un certificato medico che attesta lo stato di inabilità.
Ricevuta la domanda, l’ente dispone l’accertamento della condizione di inabilità, affidandolo al competente organismo sanitario, che cambia in base all’ente o amministrazione di appartenenza (ad esempio, commissioni mediche ospedaliere per il comparto Forze Armate; commissione medica dell’ASL per il comparto enti pubblici non economici).
Per avere diritto al trattamento, oltre allo stato di assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa, è necessario possedere un’anzianità contributiva di cinque anni, di cui almeno tre nei cinque anni precedenti la decorrenza del trattamento pensionistico.
In questo caso, il riconoscimento di tale pensione determina l’attribuzione di un “bonus” (ossia, una maggiorazione), come se l’interessato avesse lavorato fino ai 60 anni di età o fino al quarantesimo anno di servizio.
Se la domanda è stata presentata in attività di servizio, la pensione di inabilità decorre dal giorno successivo alla risoluzione del rapporto di lavoro. Però, se la domanda è stata proposta dopo la fine del rapporto, la pensione decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della richiesta.
Questa tipologia di pensione è incompatibile con lo svolgimento di un lavoro dipendente o autonomo.
Poi, viene riconosciuta la c.d. pensione per inabilità assoluta e permanente alla mansione. In tal caso, l’inabilità non è generale (ossia, relativa a qualsiasi attività lavorativa), ma è specifica poiché è collegata al tipo di mansione svolta dal dipendente pubblico.
In sostanza, il soggetto non è considerato completamente inabile al lavoro. Ecco perché, in presenza di questo tipo di infermità, il trattamento di pensione può esserci solo quando l’ente non possa adibire il dipendente ad attività equivalenti a quelle della propria qualifica.
Per questo tipo di prestazione, oltre all’inidoneità a svolgere la specifica mansione, sono necessari i seguenti requisiti:
- per i dipendenti dello Stato, occorre possedere almeno 15 anni di servizio; per il personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, occorrono almeno 15 anni di servizio, di cui 12 effettivi; per i dipendenti di Enti locali o della sanità, servono almeno 20 anni di servizio;
- la risoluzione del rapporto di lavoro per dispensa dal servizio per inabilità.
Ancora, c’è anche la c.d. pensione per inabilità al proficuo lavoro.
Quest’ultima prestazione è destinata ai dipendenti pubblici cui è stata accertata un’incapacità derivante da infermità che impedisce una collocazione lavorativa continuativa e remunerativa.
Oltre all’accertamento dell’inabilità, per questa tipologia di pensione, il dipendente pubblico deve possedere i seguenti requisiti:
- avere almeno 15 anni di servizio, di cui 12 effettivi se fa parte del personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico;
- la risoluzione del rapporto di lavoro per dispensa dal servizio per inabilità permanente a proficuo lavoro.
Nel caso di pensione per inabilità alla mansione e nell’ipotesi di pensione per inabilità al proficuo lavoro, la prestazione è calcolata con gli stessi criteri della pensione ordinaria. Però, a differenza della pensione di inabilità permanente ed assoluta a qualsiasi attività lavorativa, a questi trattamenti non si applicano maggiorazioni (ossia, è calcolata sulla base del servizio posseduto al momento della cessazione) e, peraltro, il conseguimento della prestazione risulta compatibile con lo svolgimento di attività lavorativa.