La vicenda si apre con il ricorso all’autorità giudiziaria dei nonni e dello zio paterni, affinché riescano a continuare ad avere rapporti e frequentare i propri nipoti.
In primo grado l’istanza viene accolta a due condizioni:
- l’obbligo di coinvolgimento dei servizi sociali che avrebbero dovuto garantire l’intervento di un educatore ad ogni incontro;
- l'espletamento da parte della nonna di un percorso psichiatrico continuo.
Solo al termine e al buon esito della psicoterapia applicata alla donna sarebbe stato possibile optare per delle visite “libere”, ovvero senza la necessaria presenza di un terzo professionista a vigilare.
Nonostante i gravi problemi legati alle difficoltà relazionali tra la nuora, madre dei minori, e la suocera, la Corte di Appello, constatata l'assenza di un effettivo pregiudizio reale, opta per il mantenimento del rapporto e garantisce la continuità nella frequentazione tra i bimbi e la nonna.
Si ravvisa però che l’odio espresso dai genitori nei confronti dei parenti, non pregiudica solamente i minori privandoli di un rapporto che li potrebbe arricchire, ma arreca un vero e proprio minandone la serenità.
Si chiede pertanto di avviare un percorso di terapia che coinvolga tutti i familiari, con incarico di vigilanza e monitoraggio ai servizi sociali.
I genitori non sono d'accordo con la decisione presa dalla Corte, che impone una frequentazione tra la minore, nonni e lo zio, ritenendo che non si sia tenuto conto del rifiuto della minore di incontrare i parenti, concentrando l’attenzione solo su un bisogno affettivo presupposto.
Non si spiega, poi, il motivo per cui i giudici abbiano ritenuto inutile un percorso psichiatrico per la nonna, al fine di superare le sue difficoltà mentali; infine, i genitori considerano trascurate le conclusioni dei servizi sociali, che ritengono il conflitto tra adulti irrisolvibile.
In Corte di Cassazione si ritengono fondati tutti i motivi addotti, sostenendo, dapprima, che lo Stato non può ingerirsi nella vita di una famiglia e che la disciplina applicata deve sempre rispettare le relazioni degli individui, a norma dell’art. 8 della CEDU.
L’obiettivo in queste situazioni è l’assoluto rispetto dell'interesse del minore, che non deve essere obbligato a mantenere un rapporto con gli ascendenti se non lo desidera.
La Cassazioneconcentr a la propria attenzione sul "reale pregiudizio" che la visita ai parenti potrebbe arrecare ai minori, affermando che il diritto del quale ex art. art. 317 del c.c. c.c. vale nei confronti dei terzi, ma non dei nipoti, il cui interesse è destinato a prevalere a dovere prestarsi a cooperare nella realizzazione del progetto educativo e formativo del minore, se e nella misura in cui questo suo coinvolgimento possa non solo arricchire il suo patrimonio morale e spirituale, ma anche contribuire all'interesse del discendente.
In definitiva, non è giusto obbligare un bambino a mantenere rapporti significativi attraverso un'imposizione, forzandolo a entrare in una relazione che non desidera o addirittura disprezza. In questo caso particolare, era importante valutare la capacità di comprensione dei minori, ascoltarli e capire i motivi delle loro volontà, al fine di verificare la presenza di strumenti che possano creare un rapporto spontaneo.