Gli accordi con cui i coniugi, al momento della separazione, fissano le condizioni economiche di un futuro ed eventuale divorzio, sono validi?
Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza sopra citata, il Tribunale di Milano aveva dichiarato il divorzio tra due coniugi, condannando il marito a corrispondere alla moglie un assegno divorzile di Euro 3.300,00.
Il Tribunale, inoltre, dichiarava il marito tenuto al mantenimento diretto del figlio e a versare alla ex moglie, a titolo di contributo nel mantenimento dell’altro figlio, un assegno mensile di Euro 4.100,00.
La Corte d’appello di Milano, tuttavia, pronunciatasi in secondo grado, aveva revocato l’assegno divorzile in favore dell’ex moglie, dando atto del conseguimento dell’autosufficienza economica di uno dei figli e riducendo anche il contributo nel mantenimento dell’altro figlio.
Per quanto riguardava, in particolare, l’assegno divorzile in favore della ex moglie, la Corte d’appello evidenziava che “tenuto conto della durata del matrimonio, della capacità patrimoniale dei coniugi, nonché del contributo personale” dell’ex moglie, la stessa avrebbe avuto diritto ad un assegno pari a Euro 2.000 mensili.
Tuttavia, poiché dalla sentenza di separazione risultava che l’ex marito aveva versato all’ex moglie la somma di euro 1.934.922, la Corte d’appello riteneva che in questo modo l’ex marito avesse inteso corrispondere alla moglie “quanto le sarebbe spettato per assegno di mantenimento ed assegno divorzile”, dal momento che tale importo “per la sua rilevanza, assorbiva, per almeno vent’anni, persino la richiesta di un assegno divorzile pari ad Euro 7.000,00 mensili”.
L’ex moglie, ritenendo la sentenza ingiusta, proponeva ricorso per Cassazione, evidenziando come la Corte d’appello avesse errato nel ritenere “provato l’atto di disposizione compiuto durante il matrimonio, e, comunque, per avergli attribuito la valenza di corresponsione "una tantum" non solo dell’assegno di separazione, ma anche di quello divorzile”.
La Corte di Cassazione, riteneva, in effetti, di dover aderire alle argomentazioni svolte dalla ricorrente.
La Cassazione, in particolare, osservava che “ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, l’accertamento del diritto all’assegno divorzile deve essere effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto”.
La liquidazione in concreto dell’assegno, invece, evidenziava la Corte, “va compiuta tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché del reddito di entrambi, valutandosi tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”.
Nel caso di specie, la Cassazione rilevava come la Corte d’appello avesse “valorizzato, in maniera pressoché esclusiva, la circostanza relativa alla dazione della somma di Euro 1.934.922,00 nell’anno 2006, attribuendole la valenza di anticipazione non solo dell’assegno di separazione, ma addirittura di quello di divorzio”.
Ebbene, secondo la Cassazione, “tale affermazione, oltre a rivelarsi del tutto arbitraria (…), contrasta con l’orientamento di questa Corte secondo cui gli accordi preventivi aventi ad oggetto l’assegno di divorzio sono affetti da nullità”.
Precisava la Corte, infatti, che “gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico - patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale, espresso dall’art. 160 cod. civ.”.
Di conseguenza, “di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludono il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto è necessario per soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente dette esigenze, per il rilievo che una preventiva pattuizione - specie se allettante e condizionata alla non opposizione al divorzio potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione degli effetti civili del matrimonio”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dall’ex moglie, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello, affinché la medesima decidesse nuovamente sulla questione, in base ai principi sopra enunciati.