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L'ex moglie disoccupata e ultrasessantenne ha diritto all'assegno divorzile?

Famiglia - -
L'ex moglie disoccupata e ultrasessantenne ha diritto all'assegno divorzile?
Secondo la Cassazione occorre valutare le ragioni della disoccupazione e della mancata qualifica professionale della donna.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4100 del 16 febbraio 2017, ha fornito alcune interessanti precisazioni in ordine al diritto dell’ex moglie disoccupata alla corresponsione dell’assegno divorzile.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Trieste, nel dichiarare la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da una coppia (divorzio), aveva imposto all’ex marito l’obbligo di corrispondere all’ex moglie un assegno divorzile di Euro 350,00 mensili.

Ritenendo l’importo dell’assegno eccessivamente basso, la donna proponeva appello avverso la sentenza di primo grado, chiedendo un assegno divorzile di almeno Euro 1.000,00 mensili.

La Corte d’appello giudicava l’impugnazione parzialmente fondata e rideterminava l’assegno nell’importo di Euro 600,00 mensili.

L’ex marito, ritenendo la sentenza ingiusta, decideva di proporre ricorso per Cassazione, evidenziando la violazione dell’art. 5 della legge n. 898/1970 (legge sul divorzio), “in relazione alle modalità di applicazione del criterio di durata del matrimonio come parametro per la quantificazione dell'assegno divorzile”.

Secondo il ricorrente, in particolare, la Corte d’appello, nel rideterminare l’importo dell’assegno, avrebbe dato “prevalente rilievo ai trentacinque anni di durata del matrimonio, non tenendo in considerazione il consolidato principio che prevede che si debba far riferimento alla durata della comunione legale, che cessa con la separazione personale (in questo caso, dall'ottobre del 1977 al 1996)”.

Il ricorrente, inoltre, riteneva contraddittoria la motivazione della sentenza di secondo grado, che aveva dato rilievo alla circostanza per cui la moglie aveva “dedicato alla famiglia e all'impresa del coniuge la propria attività senza ricevere sostentamento”, omettendo, tuttavia, di “valutare il fatto che la stessa, dal momento della separazione giudiziale, non si è mai attivata per reperire un'attività lavorativa remunerata”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, rigettando il relativo ricorso.

Nello specifico, la Cassazione rilevava che la decisione della Corte d’appello era pienamente coerente al principio di diritto secondo cui “l'accertamento del diritto all'assegno divorzile si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice verifica l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto, mentre nella seconda procede alla determinazione in concreto dell'ammontare dell'assegno, che va compiuta tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché del reddito di entrambi, valutandosi tali elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”.

La Cassazione, inoltre, rilevava che la condizione di disoccupazione dell’ex moglie era dovuta alla crisi economica e occupazionale generale e alla difficoltà di entrare nel mondo del lavoro da parte della donna, che aveva oltre sessant’anni di età e non aveva una specifica qualificazione, avendo la medesima sempre svolto la propria attività nell’ambito della famiglia.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’ex marito, confermando integralmente la sentenza di secondo grado e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


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