Nel caso esaminato dalla Cassazione, una donna aveva agito in giudizio nei confronti del titolare di una ditta di autotrasporti, al fine di ottenere la condanna dello stesso al risarcimento dei danni non patrimoniali (art. 2059 del c.c.) subiti a seguito della perdita del marito, collaboratore della ditta stessa, deceduto a seguito di un infortunio sul lavoro.
Il Tribunale di Lodi, pronunciatosi in primo grado, aveva ritenuto che la donna avesse diritto al risarcimento della somma di euro 160.000,00, a titolo di “danno non patrimoniale, per la perdita del rapporto con il coniuge” (cosiddetto “danno da perdita del rapporto parentale”) ma che la ditta di autotrasporti non potesse essere condannata al pagamento di tale somma, dal momento che la donna era già stata risarcita dall’INAIL.
La sentenza era stata, tuttavia, riformata dalla Corte d’appello di Milano, con la conseguenza che il titolare della ditta di autotrasporti aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo la Corte d’appello, in particolare, “il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, a differenza del danno biologico strettamente inteso come compromissione dell'integrità psico-fisica del lavoratore infortunato, non trova alcun ristoro nella rendita erogata dall’INAIL al parente o al coniuge superstite e deve, pertanto, essere interamente ed autonomamente risarcito”.
In sostanza, secondo la Corte d’appello, il danno consistente nella perdita di un famigliare non può considerarsi compreso nel danno biologico che viene indennizzato dall’INAIL, con la conseguenza che tale danno deve essere autonomamente risarcito dal datore di lavoro.
La Suprema Corte, riteneva di dover confermare quanto deciso dalla Corte d’appello, rigettando il ricorso proposto dal datore di lavoro, in quanto infondato.
Osservava la Cassazione, in particolare, che la rendita ai superstiti erogata dall'INAIL riguarda solamente i danni subiti dal lavoratore assicurato, con la conseguenza che la stessa non copre i danni subiti, a seguito dell’infortunio sul lavoro, da parte dei famigliari superstiti, i quali dovranno essere autonomamente risarciti.
Alla luce di tali considerazioni la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal datore di lavoro, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.