Sul tema, la Suprema Corte si è espressa in favore della configurabilità del reato di cui all’art. 572 c.p.: la condotta di omissione reiterata agli obblighi di cura e il costante disinteresse dimostrato verso i bisogni affettivi ed esistenziali del coniuge possono infatti contribuire, soprattutto laddove si sommino ad aggressioni fisiche e psicologiche, a porre la vittima in quello stato di assoggettamento e sopraffazione proprio dei maltrattamenti. La produzione, per la persona offesa dalle condotte del coniuge, di un “sistema di vita mortificante e vessatorio” che sia “fonte abituale di sofferenze fisiche e morali” costituisce, invero, l’elemento oggettivo del reato di maltrattamenti in famiglia.
Ciò posto, emerge come la condotta appena esaminata non sia quindi idonea ad integrare il diverso e meno grave reato di cui all’art. 570 c.p. La violazione degli obblighi di assistenza familiare, infatti, si configura in caso di bdelle obbligazioni economiche gravanti sul coniuge oppure in caso di inosservanza cosciente e volontaria dell’obbligo, scaturente dal vincolo matrimoniale, di assistenza morale e materiale nei confronti del partner, senza che quest’ultimo si debba però trovare a subire la costante sopraffazione altrui.
Netta, dunque, appare la linea di demarcazione tra questo reato e quello di maltrattamenti in famiglia.
Il caso giunto all’attenzione della Suprema Corte, in particolare, riguardava la condanna di un marito alla pena di tre anni di reclusione per il reato di cui all’art. 572 c.p. per aver maltrattato la moglie per oltre vent’anni, attraverso ingiurie, minacce, violenze psicologiche e fisiche nonché mediante un costante disinteresse per i bisogni affettivi ed esistenziali della stessa. Era infatti emerso dall’istruttoria dibattimentale come l’imputato, tra le altre cose, si fosse sempre mostrato indifferente alle richieste che la moglie gli rivolgeva per farlo collaborare nella gestione dei figli (richieste relative, ad esempio, al ritiro dei figli da scuola oppure al prendersi cura di loro mentre lei era al lavoro).
La sentenza di primo grado era poi stata oggetto di conferma da parte della Corte d’appello.
Avverso tale pronuncia aveva dunque proposto ricorso l’imputato, dolendosi – per quanto qui rilevante – della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 572 c.p. attesa la mancanza di episodi specifici e reiterati di abuso e l’impossibilità di ricondurvi il disinteresse per le esigenze familiari, che tuttalpiù potrebbe essere sussunto nel reato di cui all’art. 570 c.p.
Nel ritenere tale impugnazione inammissibile perché fondata su motivi generici e manifestamente infondati, la Corte di Cassazione ha dunque precisato quanto sopra esposto, rimarcando la differenza tra il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di violazione degli obblighi di assistenza familiare.