La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10891 del 4 maggio 2017, si è occupata proprio di un caso di questo tipo, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, un soggetto aveva appaltato (artt. 1655 e ss. cod. civ.) l’esecuzione di alcuni lavori edili ad una ditta, la quale gli aveva presentato un determinato preventivo di spesa.
Alla fine dei lavori, tuttavia, il prezzo richiesto era risultato decisamente maggiore, ma il committente aveva deciso di non pagare nulla di più di quanto a suo tempo pattuito.
Di conseguenza, il titolare della ditta edile aveva deciso di agire in giudizio, al fine di veder condannato il committente al pagamento di quanto dovuto.
Il Tribunale di Pordenone, che si era pronunciato in primo grado, aveva deciso di dover condannare il committente e la sentenza era stata confermata anche in grado di appello.
Il committente, pertanto, aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Osservava il ricorrente, in particolare, che la Corte d’appello, nel confermare la condanna, non aveva adeguatamente tenuto in considerazione il fatto che la ditta edile non aveva mai comunicato che, per le opere eseguite, sarebbe stato richiesto un compenso maggiore rispetto a quello preventivato.
Evidenziava il ricorrente, inoltre, che non erano state richieste opere aggiuntive e che il proprio padre aveva anche aiutato la ditta nell’esecuzione dei lavori.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione al ricorrente, rigettando il relativo ricorso.
Secondo la Cassazione, infatti, nel corso del procedimento, era stato accertato che all’impresa erano state commissionate delle opere ulteriori rispetto a quelle previste nel preventivo, che erano, peraltro, risultate necessarie al fine di completare l’opera a regola d’arte.
Osservava la Cassazione, inoltre, come fosse stato accertato che l’aiuto fornito dal padre del ricorrente fosse, comunque, “di poco conto”.
Quanto, poi, alla rilevata “mancata comunicazione della necessità di opere aggiuntive”, la Cassazione precisava che il pagamento delle opere aggiuntive che siano eseguite da un appaltatore è dovuto indipendentemente dal fatto che il committente sia stato avvertito.
Ai sensi dell’art. 1176 cod. civ., infatti, l’appaltatore è tenuto ad eseguire le opere con diligenza e a regola d’arte, utilizzando, quindi, un adeguato sforzo tecnico ed eseguendo tutte le attività che si rendano, di volta in volta, necessarie per il completamento al meglio dell’opera commissionata.
Secondo la Cassazione, dunque, se si rendono necessarie delle variazioni rispetto al progetto originario, l’appaltatore deve dare esecuzione a queste variazioni anche senza la preventiva autorizzazione del committente, spettando, in questo caso, poi al giudice accertare se le variazioni fossero davvero necessarie e quale fosse il corrispettivo dovuto.
Di conseguenza, poiché la Corte d’appello aveva dato corretta applicazione a questi principi, la sentenza impugnata doveva essere integralmente confermata.