Nel caso esaminato dalla Corte, una Banca aveva ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti di un coniuge e della moglie, quale garante, e aveva iscritto ipoteca giudiziale sull’intero patrimonio immobiliare, facente parte dell’azienda del debitore, finalizzata alla costruzione e vendita di immobili.
Il debitore proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo, chiedendo la condanna della Banca per responsabilità aggravata, ex art. 96 codice procedura civile.
Tuttavia, mentre l’opposizione veniva accolta, veniva rigettata la domanda di condanna proposta ai sensi dell’art. 96 sopra citato.
L’opponente, dunque, dopo aver appellato, senza successo, il capo della sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda di condanna per responsabilità aggravata, decideva di proporre ricorso per Cassazione.
L’opponente, in particolare, già in sede di appello, aveva rilevato come l’ipoteca giudiziale era stata iscritta su tutti i beni aziendali, per un importo pari a oltre 3 milioni di euro, e la medesima aveva determinato la cessazione dell’attività imprenditoriale.
Secondo la Corte d’Appello, però, la responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c., presuppone che sia accertata l’inesistenza del credito vantato in giudizio, oltre che il difetto della normale prudenza nell’iscrizione dell’ipoteca.
Nel caso di specie, invece, l’inesistenza del credito non era stata “sufficientemente probabile e prevedibile al momento della richiesta di iscrizione”, con la conseguenza che non poteva ritenersi applicabile l’art. 96 c.p.c.
Osservava la Corte d’Appello, peraltro, come anche la Corte di Cassazione avesse escluso l’applicabilità di tale disposizione nel caso in cui il creditore “abbia iscritto ipoteca per una somma esorbitante o su beni eccedenti l’importo del credito vantato”, essendo la responsabilità aggravata configurabile solo se “egli abbia resistito alla domanda di riduzione dell’ipoteca giudiziale con dolo o colpa grave”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello, accogliendo il ricorso proposto dall’opponente e riformando la sentenza di secondo grado.
Secondo la Corte, infatti, era configurabile la responsabilità aggravata del creditore, “per non aver egli usato la normale diligenza nell’iscrivere ipoteca su beni di valore sproporzionato rispetto al credito garantito, con conseguente eccedenza del valore dei beni rispetto alla cautela e abuso del diritto della garanzia patrimoniale”.
Osserva la Cassazione come non via sia motivo per cui “la funzione di generale garanzia per il creditore assolta dall’intero patrimonio, presente e futuro, del debitore (art. 2740 codice civile), non debba incontrare il limite dell’abuso del diritto. Tanto più nel diritto processuale, dove i diritti sono conferiti in ragione della strumentalità del mezzo rispetto al fine del soddisfacimento del diritto sostanziale tutelato”.
Ebbene, precisa la Corte come “l’art. 96 c.p.c. disciplina una responsabilità per atti e comportamenti processuali. Una responsabilità in capo al soccombente che, all’interno del processo, abbia compiuto un’attività qualificabile quale “illecito processuale”, quando il comportamento assume modalità illecite sostanziandosi nell’abuso del diritto di agire o resistere in giudizio”.
Con particolare riferimento al caso di specie, secondo la Corte, “il creditore che iscrive ipoteca giudiziale sui beni del debitore il cui valore sia eccedente la cautela, discostandosi dai parametri normativi mediante l’iscrizione per un valore che supera di un terzo, accresciuto degli accessori, l’importo dei crediti iscritti (artt. 2875 e 2876 c.c.), pone in essere un comportamento di abuso dello strumento della cautela rispetto al fine per cui gli è stato conferito. Utilizza lo strumento processuale oltre lo scopo previsto dal legislatore per assicurarsi la maggiore garanzia possibile, ma determinando un effetto deviato in danno del debitore”.
Alla luce di tali considerazioni, secondo la Cassazione la Corte d’Appello aveva errato nel non ritenere applicabile al caso in esame la responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c., con la conseguenza che la medesima Corte annullava la pronuncia di secondo grado, rinviando la causa alla Corte d’Appello, affinchè la medesima decidesse tenendo conto dei principi sopra enunciati.