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Inviare continui messaggi SMS può configurare il rato di molestie

Inviare continui messaggi SMS può configurare il rato di molestie
Colui che ossessiona un altro soggetto mediante l'invio di assillanti sms commette reato di molestie ex art. 660 c.p. ed è quindi passibile di condanna penale.
Attenzione ad inviare troppi sms al proprio fratello, perché rischiereste di essere perseguiti per il reato di “molestia o disturbo alle persone”, di cui all’art. 660 del c.p. codice penale.

Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26312 del 23 giugno 2016, in primo grado, il tribunale aveva condannato un soggetto per il reato in questione, poiché il medesimo aveva recato molestia al proprio fratello inviandogli numerosi messaggi sms.

Tra i due fratelli, in particolare, risultava accertato fossero “insorte gravi questioni relative alla gestione del patrimonio familiare e una forte conflittualità”.

Secondo il giudice, in particolare, gli sms, pur essendo molti, non erano tali da incutere timore, con la conseguenza che non poteva dirsi configurato il più grave reato di “minaccia e ingiurie”, di cui all'art. 612 del c.p. e all'art. 594 del c.p.. Poteva, tuttavia, considerarsi configurato il meno grave reato di “molestia o disturbo alle persone”, di cui al citato art. 660 c.p.

Giunti al terzo grado di giudizio, la Corte di Cassazione riteneva di dover confermare la sentenza di condanna.

Secondo la Cassazione, infatti, “l'invio di sms può integrare la condotta di cui all'art. 660 c.p.”, trattandosi di molestia commessa col mezzo del telefono e gli sms possono essere assimilati a messaggi di tipo epistolare, in quanto il destinatario dei medesimi è costretto “a percepirli, con corrispondente turbamento della quiete e tranquillità psichica, prima di poterne individuare il mittente, il quale in tal modo realizza l'obiettivo di recare disturbo al destinatario”.

La Cassazione, in particolare, non riteneva di dover accogliere il motivo di ricorso fondato sul fatto che, secondo il ricorrente, “non è configurabile il reato di molestia o disturbo alle persone di cui all'art. 660 c.p. allorché vi sia reciprocità o ritorsione delle molestie, in quanto in tal caso non ricorre la condotta tipica descritta dalla norma, e cioè la sua connotazione "per petulanza o altro biasimevole motivo", alla quale è subordinata l'illiceità penale del fatto".

Osservava la Corte, infatti, che “se si ritenesse che, in caso di reciprocità delle ingiurie effettuate con il mezzo telefonico, venga sempre a mancare "la petulanza o altro biasimevole motivo" richiesto dalla norma incriminatrice delle molestie, si opererebbe di fatto un'estensione della causa di non punibilità in questione ad un'altra fattispecie incriminatrice, contro l'evidente volontà dei legislatore che, appunto, ha limitato la previsione eccezionale al reato di ingiuria”.

In altri termini, secondo la Cassazione, la causa di non punibilità invocata dal ricorrente, relativa alla “reciprocità o ritorsione delle molestie”, non trovava applicazione in caso di minaccia ma solamente nell’ipotesi di reato di ingiuria. Di conseguenza, la medesima non poteva trovare applicazione nel caso di specie.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal ricorrente, confermando la sentenza che aveva condannato l’imputato per il reato in questione, onerandolo del pagamento della somma di € 200,00 di ammenda, nonché del risarcimento dei danni in favore del fratello.


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