L’argomento è piuttosto tecnico ma accade spesso che un contratto di mutuo venga firmato solo dalla banca e non anche dal cliente.
Proprio in questi casi, il contratto deve ritenersi del tutto nullo, proprio per la mancanza della sottoscrizione da parte della banca.
La normativa bancaria (in particolare, gli artt. 23 T.U.F., 117 e 127 T.U.B.), prevede che questa nullità sia una delle cosiddette “nullità di protezione”: questo sta a significare che la nullità stessa può essere fatta valere solo dal soggetto nel cui interesse è prevista.
Nel caso del contratto bancario firmato solo dal cliente, quindi, è solo il cliente stesso che ha la possibilità di agire al fine di ottenere una sentenza che dichiari la nullità del contratto stesso, con la conseguenza che sarà allo stesso modo nulla anche l’eventuale previsione di interessi stabiliti in misura superiore a quella legale, oltre che di commissioni e altre spese che siano state addebitate nel corso del rapporto.
La Corte di Cassazione, in particolare, stabilisce che non deve continuare ad essere applicato il suo precedente orientamento, espresso in altre sentenze, secondo il quale la mancanza della firma da parte della Banca non era causa di nullità del contratto.
Secondo questo vecchio orientamento, infatti, il contratto doveva ritenersi valido lo stesso se accompagnato da una dichiarazione che provasse che la Banca aveva consegnato al cliente una copia del contratto o se la Banca aveva tenuto determinati comportamenti che dimostravano senz’ombra di dubbio che la stessa aveva intenzione di applicare il contratto stesso.
In base al nuovo orientamento giurisprudenziale in esame, invece, “la stipulazione del contratto non può essere desunta, per via indiretta, in mancanza della scrittura, da una dichiarazione quale quella nella specie sottoscritta: «Prendiamo atto che una copia del presente contratto ci viene rilasciata debitamente sottoscritta da soggetti abilitati a rappresentarvi”, in quanto queste formule rilevano esclusivamente sul piano della prova, ove si applica il principio stabilito dal codice civile secondo cui, con riferimento ai contratti che richiedono, a pena di nullità, la forma scritta, la prova per testimoni è ammessa solo se il contraente abbia, senza sua colpa, perso il documento scritto che gli forniva la prova del contratto (art. 2724 del c.c.).
In proposito, ricorda la Corte come il suo consolidato orientamento “esclude l’equiparazione alla perdita di cui parla l’art. 2724 c.c. della consegna del documento alla controparte contrattuale”, poiché, in quest’ultimo caso, non si verte in un’ipotesi di perdita incolpevole del documento ai sensi dell’articolo 2724, n. 3, c.c., bensì di impossibilità di procurarsi la prova del contratto ai sensi del precedente n. 2 di tale articolo”.
Allo stesso modo, nemmeno eventuali documenti emessi in esecuzione del contratto possono supplire alla mancanza di sottoscrizione, poiché la Corte ribadisce come la forma scritta richiesta a pena di nullità “elemento costitutivo del contratto, nel senso che il documento deve essere l’estrinsecazione formale e diretta della volontà delle parti di concludere un determinato contratto avente una data causa, un dato oggetto e determinate pattuizioni, sicché occorre che il documento sia stato creato al fine specifico di manifestare per iscritto la volontà delle parti diretta alla conclusione del contratto.
In ogni caso, ferma restando la necessità della sottoscrizione anche da parte dell’Istituto bancario, va precisato come il requisito della forma scritta debba considerarsi
assolto anche in presenza di sottoscrizioni rilasciate su documenti separati, a condizione che risulti il loro collegamento e che entrambi vengano prodotti in giudizio.