La
Corte di Cassazione, con
ordinanza n. 19135 depositata il 17 luglio 2019, si è occupata del caso di un padre che aveva fatto
ricorso per veder revocare l’assegno di
mantenimento nei confronti della figlia trentenne, che aveva completato il suo percorso di studi e aveva cominciato a svolgere la
professione di avvocato.
Tuttavia, affermano i giudici, il fatto che la figlia abbia intrapreso da poco una professione, non consente di ritenere che la stessa abbia raggiunto l’”
autosufficienza economica”, unico presupposto di fatto idoneo a consentire la revoca dell’assegno di mantenimento.
L'
art. 315 bis del c.c., infatti, prevede che "
il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni". Tale obbligo del genitore di concorrere al mantenimento
non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età.
Nella motivazione della
sentenza si legge che, tra i vari presupposti suscettibili di configurare l’autosufficienza economica, sicuramente rientra, oltre alla professione esercitata, anche l’età.
Tuttavia, non è possibile operare alcun tipo di automatismo tra il raggiungimento di una certa età e la possibilità di mantenersi autonomamente. È necessario, viceversa, compiere un’indagine caso per caso, analizzando tutta una serie di elementi che insieme concorrono a delineare la situazione complessiva del beneficiario dell’assegno.
Tra questi criteri rientra, a titolo di esempio, oltre all’età, il livello di competenza professionale raggiunto, la propensione e l’impegno profuso nell’attività lavorativa esercitata e il comportamento generalmente e complessivamente tenuto dalla figlia in ordine alle proprie responsabilità lavorative.
Pur non potendo l’obbligo del genitore protrarsi oltre limiti di tempo che appaiano giustificati e ragionevoli, il diritto del figlio al mantenimento può essere motivato anche dalla particolare lunghezza del suo percorso di studi, nel rispetto quindi delle sue attitudini e compatibilmente con le possibilità economiche della famiglia.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell'uomo, affermando la perdurante esigenza della figlia a percepire tale assegno, fino a quando la stessa non avrà raggiunto una discreta autonomia economica che le permetterà di emanciparsi definitivamente dalla famiglia d'origine.