La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 27229 del 16 novembre 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, emessa dal Giudice di Pace della stessa città, ha rigettato la domanda proposta dagli eredi di un soggetto nei confronti della Telecom, volta ad ottenere il risarcimento del cosiddetto “danno esistenziale” patiti, in ragione di una “estenuante situazione di disagio e di ansia” causata “dal dubbio di aver perso una telefonata importante in arrivo sull’utenza di casa e determinata dalle disfunzioni presenti sulla propria linea telefonica”.
Ritenendo la decisione ingiusta, i soggetti in questione avevano deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo i ricorrenti, in particolare, il Tribunale, nel rigettare la loro domanda risarcitoria, non avrebbe dato corretta applicazione alle norme dettate dal codice civile in tema di risarcimento del danno, in quanto non poteva negarsi che il guasto telefonico in questione avesse leso “il diritto dell’utente alla libertà di comunicazione di cui all’art. 15 Cost. e di manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 Cost.”.
Inoltre la “volontaria inerzia per quasi due anni” della Telecom, la quale aveva l’obbligo “di assolvere alla richiesta entro il numero limitato di giorni previsto dalla carta dei servizi”, integrava il delitto di “interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità”, di cui all’art. 340 c.p.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione ai ricorrenti e rigettava il relativo ricorso in quanto le affermazioni dedotte non erano state seguite da alcuna dimostrazione.
Inoltre, si precisava che il “danno esistenziale” non può certo dirsi sussistente anche in presenza di uno “sconvolgimento dell’agenda” a seguito della perdita delle “abitudini e dei riti propri della quotidianità della vita”. Ansia e stress sono, purtroppo, accidenti che fanno parte della vita e anche quando sono la conseguenza di situazioni simili a quella qui descritta, non necessariamente danno il diritto ad ottenere un risarcimento.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dai ricorrenti, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando i ricorrenti anche al pagamento delle spese processuali.