La vicenda giudiziaria di cui si è occupata la Suprema Corte vedeva come protagonista un padre che, dopo essersi rifiutato di adempiere al proprio obbligo di far visita al figlio minorenne, era stato sanzionato, sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello, ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c., venendo condannato a versare alla madre del minore la somma di 100 euro per ogni futuro inadempimento all’obbligo di incontrare il figlio.
L’uomo, rimasto soccombente in entrambi i gradi del giudizio di merito, ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo la falsa applicazione dell'art. 614 bis c.p.c., in combinato disposto con l'art. 709 ter c.p.c.
I giudici di legittimità hanno accolto il ricorso, ribadendo, innanzitutto, che, nell’ambito dei rapporti tra genitori e figli, di fianco alla responsabilità genitoriale ex art. 316 c.c., sussiste il dovere di dare attuazione, di comune accordo, al diritto dei figli minorenni di essere mantenuti, educati, istruiti ed assistiti, anche moralmente, nel rispetto delle loro naturali inclinazioni ed aspirazioni. All’interno di tali doveri di cura, assistenza ed educazione, che i genitori sono chiamati ad espletare nell’interesse dei figli, rientra il diritto-dovere del genitore non affidatario di far visita al figlio minore, a cui corrisponde, specularmente, il diritto del figlio a mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori, non solo, quindi, con quello presso il quale risulti essere collocato.
Quello di far visita al figlio minore è, dunque, in primo luogo, un diritto del genitore non collocatario, in quanto una sua lesione da parte dell’altro genitore comporta una tutela ai sensi di quanto disposto dall’art. 709 ter del c.p.c., considerato che l'altro genitore è, specularmente, titolare di un obbligo di astenersi dal rendere più difficoltoso o impedire l'esercizio dell'altrui diritto. Ma è, allo stesso tempo, un dovere, il cui adempimento, però, essendo espressione della capacità di autodeterminazione del soggetto che ne sia onerato, è rimesso alla sua scelta libera e consapevole.
Tali caratteristiche, a parere degli Ermellini, fanno si che ritenere tale diritto-dovere coercibile su iniziativa dell’altro genitore risulterebbe contrario alla sua qualificazione e finalità. Per questo motivo, il diritto-dovere di far visita al figlio minore, spettante al genitore non collocatario, non è suscettibile di coercizione, neanche nella forma indiretta ex art. 614 bis c.p.c., in quanto non rientra tra quegli obblighi genitoriali la cui violazione integra una grave inadempienza ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c., considerato che il suo esercizio non può che essere il risultato di una scelta libera ed autonoma.
Gli Ermellini hanno, infatti, osservato come l’emissione di un provvedimento ex art. 614 bis c.p.c., presupponga l’inosservanza di una condanna, mentre il diritto-dovere di visita rappresenta soltanto un’espressione della relazione tra genitore e figlio che, però, non può mai costituire l’oggetto di una condanna ad un facere, anche se infungibile. A ciò si aggiunga, inoltre, che l’emanazione di un provvedimento di tal genere si porrebbe in contrasto con l’interesse stesso del minore alla frequentazione con i genitori che, in tal modo, subirebbe una monetizzazione, nonché una banalizzazione.
Ciò non significa, tuttavia, che una violazione del dovere di visita da parte del genitore non collocatario sia del tutto priva di conseguenze. Da una tale condotta potrà, infatti, derivare, ad esempio, l’applicazione dell’affido esclusivo del figlio all’altro genitore, o, addirittura, la perdita della responsabilità genitoriale.
Alla luce di tali osservazioni, la Suprema Corte ha provveduto ad affermare il principio di diritto per cui "Il diritto-dovere di visita del figlio minore che spetta al genitore non collocatario non è suscettibile di coercizione neppure nella forma indiretta di cui all'art. 614 bis c.p.c. trattandosi di un potere-funzione che, non sussumibile negli obblighi la cui violazione integra, ai sensi dell'art. 709 ter c.p.c., una "grave inadempienza", è destinato a rimanere libero nel suo esercizio quale esito di autonome scelte che rispondono, anche, all'interesse superiore del minore ad una crescita sana ed equilibrata."
Non essendosi chiaramente attenuta a tale principio, la pronuncia emessa in grado d'appello non poteva, dunque, che venire annullata dalla Cassazione.