La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26679 del 10 novembre 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Trento, in riforma della sentenza di primo grado, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento che era stato intimato “per giusta causa” (art. 2119 c.c.) ad un dipendente delle Poste, che aveva patteggiato la pena (art. 444 c.p.p.) in ordine al reato di detenzione di sostanze stupefacenti.
Secondo la Corte d’appello, in particolare, il patteggiamento non era equiparabile ad una sentenza di condanna (che certamente avrebbe giustificato l’irrogazione della sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso, ai sensi di quanto stabilito dal Contratto collettivo) e il fatto contestato non era stato, comunque, idoneo a ledere il vincolo fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro.
Precisava il giudice, sul punto, che il comportamento contestato al lavoratore aveva avuto “natura extralavorativa” e non aveva interferito sulle mansioni svolte dal lavoratore, che erano di natura esecutiva e non comportavano assunzioni di responsabilità o contatto con il pubblico (il lavoratore, infatti, era un semplice “operatore al computer per l'indirizzo e lo smaltimento di lettere, raccomandate e di altro prodotto postale”).
Ritenendo la decisione ingiusta, le Poste avevano deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Secondo la ricorrente, infatti, la Corte d’appello avrebbe erroneamente escluso la ricorrenza della giusta causa di licenziamento, dal momento che la condotta contestata al lavoratore era stata idonea a ledere irrimediabilmente il “vincolo fiduciario della società datrice con il proprio dipendente”, tenuto anche conto “del contesto lavorativo in cui il medesimo era inserito in cui il medesimo era inserito (a contatto con decine di colleghi e con maneggio e anche apertura, qualora non fosse individuabile il destinatario, di buste e pacchi anche contenenti valori o effetti personali)”.
La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione alle Poste, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.
Precisava la Cassazione, in proposito, che la “giusta causa” rappresenta un fatto che “non consenta la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto”.
Tale fatto, secondo la Cassazione, può riferirsi anche a “condotte extralavorative”, a condizione che le stesse possano essere, comunque, “tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti”.
Evidenziava la Corte, infatti, che anche condotte poste in essere al di fuori dall’ambito lavorativo “possono in concreto risultare idonee a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario”, laddove queste si riflettano “sulla funzionalità del rapporto compromettendo le aspettative d'un futuro puntuale adempimento dell'obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività”.
Tuttavia, precisava la Cassazione, “è pur sempre necessario che si tratti di comportamenti che, per la loro gravità, siano suscettibili di scuotere irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro perchè idonei, per le concrete modalità con cui si manifestino, ad arrecare un pregiudizio, anche non necessariamente di ordine economico, agli scopi aziendali”.
Ebbene, nel caso di specie, secondo la Cassazione, la Corte d’appello aveva dato corretta applicazione ai suddetti principi, valutando puntualmente le mansioni svolte dal lavoratore e giungendo alla corretta conclusione secondo cui la condotta oggetto di contestazione non poteva essere ritenuta idonea a ledere il rapporto fiduciario tra le parti.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalle Poste, confermando integralmente la sentenza impugnata.