In particolare, secondo il Supremo Consesso, il presidente di una associazione di volontariato riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio (art. 358 del c.p.): pertanto, la condotta di appropriazione indebita di somme di denaro da quest’ultimo realizzata perfezionerà la più grave (e propria) fattispecie di peculato, in luogo della comune, e più lieve, fattispecie di cui all’ art. 646 del c.p..
Occorre, dunque, partire da nozioni di teoria generale.
Il delitto di peculato, di cui all’art. 314 c.p., si perfeziona qualora «Il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi”. Al fine di perfezionare la fattispecie in esame, occorre, dunque, la qualifica di pubblico ufficiale (357cp), ovvero di incaricato di pubblico servizio: in assenza di quest’ultime, il soggetto agente risponderà della fattispecie di reato comune di cui all’art. 646 del Codice penale, rubricata “appropriazione indebita”, in base al quale “Chiunque per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000”.
La fattispecie di peculato differisce, inoltre, da quella più grave di truffa aggravata, art. 640 bis del c.p.: in particolare, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità “Integra il delitto di peculato e non di quello di truffa aggravata la condotta del pubblico ufficiale che si appropri di denaro pubblico anche nel caso in cui, per effetto delle norme interne dell’ente che prevedono l’intervento di più organi ai fini dell’adozione dell’atto dispositivo, il soggetto che formalmente emette l’atto finale del procedimento non concorra nel reato per essere stato indotto in errore da coloro che si occupano della fase istruttoria” (Cass., Sez. VI, 22 ottobre 2020, n. 30637).
Sulla scia di suddette premessa, può analizzarsi la quaestio iuris specifica, affrontata dal Supremo Consesso nel caso di specie.
Dapprima, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato, anche in passato, che il presidente di un'associazione di volontariato, appartenente al sistema della protezione civile, riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio, negli ambiti di svolgimento di pubbliche funzioni: ciò in quanto, sebbene le associazioni siano formalmente soggetti di diritto privato, queste possono comunque svolgere funzioni pubblicistiche, su volontà degli organi dello Stato.
Difatti, alla luce del criterio oggettivo funzionale, di cui alla legge n. 181 del 7 febbraio 1992, qualsiasi ente di diritto privato può avere qualifica pubblicistica, qualora esso svolga attività di stampo pubblicistico: secondo la giurisprudenza di legittimità, l’ente in questione avrà qualifica pubblicistica solo qualora svolga attività di diritto pubblico; negli altri casi, questi manterrà la sua qualifica privatistica (Cass. pen., sez. VI, 23 gennaio 2018, n. 19484). Pertanto, per la parte di attività di stampo pubblicistico, i soggetti inseriti nel contesto dell’associazione assumeranno le qualifiche di pubblico ufficiale, ovvero di incaricato di pubblico servizio (di cui agli artt. 357 e 358 c.p.).
Così che, secondo la pronunzia in esame, la condotta del presidente dell’associazione di volontariato di appropriazione indebita di somme di denaro, erogate direttamente dalla Direzione Regionale della protezione civile, al fine di garantire il perseguimento delle finalità pubbliche determinate dalla legge, integra il delitto di peculato (la Corte di Cassazione si pone, in tal sede, in linea di continuità con la precedente giurisprudenza di legittimità, ossia Cass. pen., sez. VI, 29 gennaio 2020, n. 14171). Le somme in oggetto, difatti, godono di un preciso vincolo di destinazione, consistente nello svolgimento di un servizio pubblico: pertanto, esse non possono essere distolte dalla loro finalità originaria, ovvero essere prelevate per finalità di natura privatistica (Cass. pen., sez. VI, 9 novembre 2016, n. 51923).