Nel caso esaminato dalla Corte, l’amministratore di condominio era stato condannato, sia in primo che in secondo grado, per il reato di “appropriazione indebita”, di cui all’art. 646 codice penale.
Secondo la Corte d’Appello, infatti, sussistevano adeguati elementi di prova che consentivano di affermare la responsabilità dell’amministratore, che si era appropriato di somme appartenenti ai condomini, “mediante periodici prelievi dal conto corrente del condominio”.
L’amministratore, ritenendo la sentenza ingiusta ricorreva in Cassazione, la quale rigettava il ricorso.
Secondo l’amministratore, infatti, la Corte d’Appello avrebbe affermato la sua colpevolezza in base ad una “valutazione acritica delle conclusioni del consulente del Pubblico Ministero, in assenza di adeguata ricostruzione delle operazioni contabili e monetarie sottese alla gestione ed in presenza di dati contraddittori circa l’importo che si assumeva appropriato indebitamente”.
La Corte di Cassazione, riteneva, innanzitutto, il ricorso inammissibile, dal momento che il ricorrente aveva motivato lo stesso in termini del tutto generici e non specifici.
Secondo la Cassazione, in particolare, “il ricorrente prospetta una tesi alternativa riguardante profili di mero fatto, ed insiste su un dato, quello della consulenza del Pubblico Ministero, che non è stato l’unico elemento posto a fondamento dell’affermazione di colpevolezza, a fronte dell’ammanco”.
Nel merito, peraltro, la Corte rilevava come i motivi di ricorso fossero infondati, dal momento che la Corte d’Appello aveva adeguatamente motivato in merito alle modalità con cui l’amministratore si appropriava indebitamente del denaro dei condomini.
In particolare, secondo la Cassazione, trattandosi di un “reato istantaneo”, l’amministratore si era reso colpevole del reato in questione al momento della prima condotta appropriativa, vale a dire quando l’amministratore aveva compiuto il primo atto “di dominio sulla cosa, con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria”.
In proposito, ricorda la Corte, infatti, come, con la sentenza n. 29451 del 17 maggio 2013, la Corte abbia ritenuto “perfezionato il delitto di appropriazione indebita della documentazione relativa al condominio da parte di colui che ne era stato amministratore, non nel momento della revoca dello stesso e della nomina del successore, bensì nel momento in cui l’agente volontariamente negando la restituzione della contabilità detenuta”, si era comportato come proprietario e non come semplice detentore della documentazione stessa.
Al contrario, l’amministratore di condominio, in quanto tale, ha il solo compito di gestire, in nome dei condomini, il denaro condominiale, al fine di destinarlo a scopi legati alla gestione del condominio stesso, con la conseguenza che quando il medesimo dimostra di voler tenere il denaro o la documentazione condominiale, come se fosse di sua proprietà, egli commette il reato di “appropriazione indebita”, di cui all’art. 646 c.p.
Alla luce di quanto sopra, la Corte di Cassazione respingeva l’impugnazione proposta e confermava la sentenza di condanna resa nei precedenti gradi di giudizio, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.