La Corte di Cassaizone, con l’ordinanza n. 21150 del 12 settembre 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, i due proprietari di un appartamento avevano agito in giudizio nei confronti del Ministero delle Infrastrutture, al fine di ottenere la condanna dello stesso al risarcimento dei danni che gli stessi avrebbero subito a causa dei lavori di completamento di una variante e di un viadotto, che avrebbero notevolmente svalutato il loro immobile, in considerazione dell’inquinamento acustico e atmosferico derivante dalla circolazione dei veicoli (artt. 844 e 2043 c.c.).
Il Tribunale di Ancona, pronunciatosi in primo grado, aveva rigettato la domanda risarcitoria, ritenendo che i proprietari dell’immobile in questione non avessero adeguatamente provato il danno lamentato.
La sentenza veniva confermata anche dalla Corte d’appello, con la conseguenza che i due proprietari avevano deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione.
Nemmeno la Corte di Cassazione, tuttavia, riteneva di dover dar ragione ai due proprietari, rigettando il relativo ricorso, in quanto inammissibile.
Osservava la Cassazione, infatti, che, nel caso di specie, i ricorrenti non avevano effettivamente dimostrato il danno da svalutazione lamentato.
Evidenziava la Cassazione, in particolare, che i ricorrenti non avevano dimostrato la “ridotta luminosità panoramicità e godibilità dell'immobile” e non avevano nemmeno richiesto che venissero raccolte prove volte a dimostrare tale danno.
In assenza di tali fondamentali dimostrazioni, dunque, secondo la Cassazione, la Corte d’appello aveva del tutto correttamente rigettato la domanda risarcitoria svolta dai proprietari dell’appartamento in questione.
Ciò considerato, la Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso proposto dai due proprietari, confermando integralmente la sentenza di secondo grado, che aveva rigettato la domanda risarcitoria svolta.