La vicenda giudiziaria sottoposta al vaglio della Suprema Corte vedeva come protagonista un lavoratore che, in seguito alla domanda di pensione di anzianità da lui presentata, si era visto riconoscere il diritto a detto trattamento previdenziale con decorrenza dal 2009, senza che si tenesse conto della rivalutazione contributiva per l’esposizione all’amianto, ex art. 13, comma 8, l. n. 257/1992, che gli era stata, in precedenza, riconosciuta giudizialmente.
L’uomo ricorreva, pertanto, dinanzi al Tribunale al fine di ottenere, da un lato, un ricalcolo della decorrenza del proprio diritto a percepire la pensione di anzianità alla luce della rivalutazione contributiva per esposizione ad amianto, e, dall’altro, la condanna dell’INPS al risarcimento del danno patito per il ritardato pensionamento, sia patrimoniale che non. Il giudice di prime cure, però, accoglieva soltanto parzialmente le istanze attoree, facendo decorrere il diritto a percepire la pensione dal 2006, ma non riconoscendo il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale.
L’attore, rimasto parzialmente soccombente in primo grado, si rivolgeva alla Corte d’Appello che, però, non riteneva sussistere alcun danno, né patrimoniale né non patrimoniale, in quanto, per quanto riguardava il primo, il lavoratore aveva continuato a lavorare fino al 2009, e, in relazione al danno non patrimoniale, esso non era stato né allegato né provato.
Il lavoratore ricorreva, quindi, dinanzi alla Corte di Cassazione, la quale ha, però, rigettato il ricorso.
Per quanto riguarda, innanzitutto, il danno patrimoniale, gli Ermellini hanno precisato che esso non può essere collegato automaticamente al mancato conseguimento della pensione, in quanto, in ogni caso, essa non avrebbe potuto essere erogata durante lo svolgimento dell’attività lavorativa. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, dunque, tale voce di danno non sussiste in re ipsa, perché, per costante orientamento della stessa Cassazione, il risarcimento di un danno patrimoniale necessita della sua allegazione e prova, ai sensi di quanto disposto dall’art. 1223 del c.c., salvo i casi in cui sia la legge a disporre diversamente.
Le stesse conclusioni sono, poi, state ribadite anche per il danno da ritardato pensionamento, il quale, come evidenziato dagli Ermellini, rientra nella categoria unitaria del danno non patrimoniale, in quanto assimilabile al danno esistenziale, qualora il lavoratore non abbia potuto realizzare se stesso nelle proprie scelte di vita legate alla volontà di andare in pensione, o al danno biologico, nel caso in cui, dal mancato pensionamento, sia derivata una vera e propria lesione della salute psico-fisica.
La Cassazione, dunque, riprendendo un suo precedente orientamento, ha ribadito che, qualora il lavoratore sia stato costretto a continuare a lavorare, per via di un illegittimo rifiuto della sua domanda di pensionamento, si può effettivamente configurare un danno non patrimoniale risarcibile, consistente nella lesione di interessi costituzionalmente protetti, come quello di poter realizzare liberamente le proprie scelte di vita. Grava, però, sul lavoratore stesso, l’onere di allegare e provare il danno derivatogli dal suo ritardato pensionamento, come, peraltro già in precedenza sostenuto dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza n. 26972/2008.