Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista il titolare di una ditta individuale, che aveva agito in giudizio nei confronti di una società ferroviaria e del Comune, al fine di vederli condannati al risarcimento dei danni subiti a seguito dell’allagamento subito da un proprio immobile, che si sarebbe verificato anche “a causa della inadeguatezza del sistema di raccolta e smaltimento” delle acque meteoriche provenienti da un sottopasso ferroviario.
Il Tribunale di primo grado aveva rigettato la domanda risarcitoria, ritenendo che gli eventi atmosferici in questione fossero stati “di tale intensità ed eccezionalità da doversi ascrivere a caso fortuito”.
La Corte d’appello aveva confermato la decisione del primo giudice, con la conseguenza che il danneggiato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione.
La Cassazione riteneva, in effetti, di dover aderire alle considerazioni svolte dal danneggiato, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Osservava la Cassazione, infatti, che, la “responsabilità da cosa in custodia”, di cui all’art. 2051 c.c., presuppone “la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa”.
Precisava la Corte, inoltre, che, ai fini della configurabilità di tale tipo di responsabilità, il danneggiato deve dimostrare “il nesso causale tra cosa in custodia e danno” (vale a dire, “che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa”), mentre resta a carico del custode la “prova contraria”, “mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità”.
Di conseguenza, secondo la Cassazione, una volta che sia stato provato il suddetto “nesso causale”, “la colpa o l'assenza di colpa del custode resta del tutto irrilevante ai fini della sua responsabilità ai sensi dell'art. 2051 c.c.”, in quanto “l'imprevedibilità - idonea ad esonerare il custode dalla responsabilità - deve essere oggettiva”.
Con riferimento, poi, al caso specifico del danno da precipitazioni atmosferiche, la Cassazione precisava che le stesse integrano un’ipotesi di “caso fortuito” solo laddove siano caratterizzate da “eccezionalità” e “imprevedibilità”, non essendo sufficiente, ai fini dell’esclusione della responsabilità del custode, che si sia trattato di un fenomeno saltuario e non frequente.
Venendo al caso di specie, la Cassazione rilevava come i giudici di merito avessero fondato il giudizio di eccezionalità ed imprevedibilità delle precipitazioni atmosferiche causative del danno sulla sola base di una delibera comunale che aveva dichiarato lo stato di calamità naturale e nella quale si era fatto riferimento a “piogge, talora intense, altre volte con elevati valori cumulati su lunghi periodi” o a “piogge prolungate, in un territorio non certo circoscritto e delimitato puntualmente”.
Pertanto, secondo la Corte, il giudice di merito era caduto in errore, “non potendosi ravvisare nelle precipitazioni appena descritte i caratteri, innanzi rammentati, della eccezionalità e, tantomeno, della imprevedibilità, connotanti il ‘caso fortuito’ di cui all'art. 2051 c.c.”.
Del resto, osservava la Corte, il Comune in questione aveva dichiarato lo stato di calamità naturale non solo sulla base dei suindicati eventi atmosferici ma tenendo conto, altresì, della “combinata incidenza del fragile tessuto geomorfologico, litologico e geostrutturale del territorio della Regione”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal danneggiato, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima decidesse nuovamente sulla questione, sulla base dei principi sopra enunciati.