L'art. 572 c.p. punisce chiunque maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, per l'esercizio di una professione o di un'arte.
La giurisprudenza ha aperto l'applicazione di questa norma a qualunque relazione che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l'insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale.
L'elaborazione giurisprudenziale non si è fermata qui: al fine di configurare il reato di cui all'art. 572 c.p. non è nemmeno necessario che la convivenza abbia una certa durata. È sufficiente, infatti, che la relazione sia stata istituita in una prospettiva di stabilità, anche se poi non si sia realizzata (ex multis Cass. pen. sez. III, n. 8953 del 3/0/1997) oppure che si possa delineare un regime di vita improntato a rapporti di solidarietà e a strette relazioni, dovute a motivi anche diversi da quello sentimentale, come le relazioni intense ed abituali, tali da ingenerare consuetudini di vita e fiducia tra i soggetti, in condizioni paritarie o anche di soggezione.
Si è arrivati a considerare vittima del reato di maltrattamenti anche una persona non più convivente con l'agente, quando questi conservi, tuttavia, con la vittima una stabilità di rapporti derivanti da doveri connessi alla filiazione al fine di adempiere gli obblighi di cooperazione e nel mantenimento, nell'educazione nell'istruzione e nell'assistenza morale del figlio minore naturale nell'esercizio congiunto della potestà genitoriale (Cass. pen. sez. VI, n. 25498 del 20/4/2017, I., CED Cass. 270673; Cass. pen. sez. VI, n. 33882 del 8/7/2014, C., CED Cass. 262078).
L'elaborazione giurisprudenziale non si è fermata qui: al fine di configurare il reato di cui all'art. 572 c.p. non è nemmeno necessario che la convivenza abbia una certa durata. È sufficiente, infatti, che la relazione sia stata istituita in una prospettiva di stabilità, anche se poi non si sia realizzata (ex multis Cass. pen. sez. III, n. 8953 del 3/0/1997) oppure che si possa delineare un regime di vita improntato a rapporti di solidarietà e a strette relazioni, dovute a motivi anche diversi da quello sentimentale, come le relazioni intense ed abituali, tali da ingenerare consuetudini di vita e fiducia tra i soggetti, in condizioni paritarie o anche di soggezione.
Si è arrivati a considerare vittima del reato di maltrattamenti anche una persona non più convivente con l'agente, quando questi conservi, tuttavia, con la vittima una stabilità di rapporti derivanti da doveri connessi alla filiazione al fine di adempiere gli obblighi di cooperazione e nel mantenimento, nell'educazione nell'istruzione e nell'assistenza morale del figlio minore naturale nell'esercizio congiunto della potestà genitoriale (Cass. pen. sez. VI, n. 25498 del 20/4/2017, I., CED Cass. 270673; Cass. pen. sez. VI, n. 33882 del 8/7/2014, C., CED Cass. 262078).
Nel caso in esame, il Tribunale aveva condannato un uomo per maltrattamenti ex artt. 94 e 572 c.p. nei confronti di una donna con cui aveva intrattenuto una relazione sentimentale con sporadici periodi di convivenza. Gli atti erano passati dall'ingiuria alle minacce, fino alle lesioni personali ex art. 81, comma 2, c.p. e artt. 582 e 585 c.p. La Corte d'Appello aveva confermato la pronuncia del giudice di merito.
L'imputato ricorreva, dunque, in Cassazione sostenendo l'insussistenza dell'art. 572 c.p. poiché non si poteva affermare che fosse stata avviata una stabile convivenza o un rapporto para-familiare, data la breve durata della frequentazione e in considerazione del basso livello di coinvolgimento sentimentale tra lui e la persona offesa. Si aggiungeva, altresì, la mancanza di abitualità dei comportamenti vessatori e di uno stato di prostrazione fisica e morale della persona offesa, che, paradossalmente, chiedeva di vederlo privatamente anche dopo aver sporto denuncia e attivato il procedimento penale.
La Cassazione, con la sentenza 7 maggio 2021, n. 17888, ha aderito al consolidato orientamento sopra descritto e ha disatteso la tesi difensiva. Infatti, osserva che, già nell'introduzione nel dispositivo dell'art. 572 c.p. della locuzione "comunque convivente", il legislatore ha ampliato l'ambito dell'applicabilità della norma anche ai soggetti che sono legati all'autore da rapporti diversi da quello familiare e derivanti, per esempio, da situazioni di convivenza o, addirittura, condivisione di spazi comuni.
L'imputato ricorreva, dunque, in Cassazione sostenendo l'insussistenza dell'art. 572 c.p. poiché non si poteva affermare che fosse stata avviata una stabile convivenza o un rapporto para-familiare, data la breve durata della frequentazione e in considerazione del basso livello di coinvolgimento sentimentale tra lui e la persona offesa. Si aggiungeva, altresì, la mancanza di abitualità dei comportamenti vessatori e di uno stato di prostrazione fisica e morale della persona offesa, che, paradossalmente, chiedeva di vederlo privatamente anche dopo aver sporto denuncia e attivato il procedimento penale.
La Cassazione, con la sentenza 7 maggio 2021, n. 17888, ha aderito al consolidato orientamento sopra descritto e ha disatteso la tesi difensiva. Infatti, osserva che, già nell'introduzione nel dispositivo dell'art. 572 c.p. della locuzione "comunque convivente", il legislatore ha ampliato l'ambito dell'applicabilità della norma anche ai soggetti che sono legati all'autore da rapporti diversi da quello familiare e derivanti, per esempio, da situazioni di convivenza o, addirittura, condivisione di spazi comuni.
I Supremi Giudici, nel caso di specie, hanno rilevato l'esistenza di relazioni abituali tra i due soggetti, anche se non estrinsecatesi nella convivenza, ma costituenti comunque un legame affettivo che produce una convivenza psicologica. Si sono posti in essere rapporti continui e strette relazioni che dovrebbero ingenerare rispetto e solidarietà e che pongono le basi per sopraffazioni della personalità del soggetto passivo, incompatibili con le normali condizioni di vita. La valutazione della riconducibilità delle vessazioni al paradigma dei maltrattamenti costituisce, inoltre, una quaestio facti, non valutabile in sede di legittimità se fondata su massime di esperienza ragionevoli e argomentata logicamente.
La Cassazione conclude che, in considerazione dei diversi tentativi dei due soggetti di costruire un rapporto duraturo e volto alla convivenza, nonostante il grado di conflittualità che ne emergeva, la breve durata del loro rapporto e le interruzioni della convivenza, è configurabile il reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p..