Il caso di specie sotteso al quesito giuridico sottoposto agli Ermellini assume, purtroppo, i connotati fenomenici di una vicenda ormai sempre più frequente nella realtà sociale, trattandosi dell'ennesimo e riprovevole caso di violenza di genere che si sviluppa all'interno di una relazione malata connotata da brutali episodi di violenza, trascendenti in condotte che arrivano a provocare nella vittima la "paura del dolore", annientandone la libertà e la dignità personale.
Prima di analizzare il ragionamento logico-giuridico dei giudici della III Sez., appare opportuno riepilogare brevemente la vicenda fattuale, suddividendo la condotta in due linee temporali distinte che però si collegano tra loro grazie ad un evento particolare, che la Cassazione individua come il punto di saldatura idoneo ad elevare l'offesa dal reato di maltrattamenti in famiglia a quello di tortura.
All'interno del primo segmento temporale della relazione, durato quasi un anno, si articolano una serie di condotte qualificate da particolare violenza ed efferatezza. Nel dettaglio e senza pretesa di esaustività, l'uomo si preoccupava costantemente di monitorare il cellulare della compagna, controllandone i messaggi preoccupato dalla circostanza che questa avesse avuto in precedenza una relazione affettiva; le incideva il proprio nome sul braccio con un taglierino; la costringeva a prestarli consistenti somme di denaro, minacciandola di obbligarla a prostituirsi in caso avesse rivelato qualcosa a qualcuno. In questa costellazione di condotte, la Cassazione ha agevolmente rilevato gli estremi del delitto di maltrattamenti, aggravato ai sensi dell'[[61cp] n.1 e n.4, ricorrendo i futili motivi e la crudeltà nei confronti della vittima.
Nel secondo segmento temporale della relazione, durato poco più di sei mesi, si inverano una serie di condotte che elevano qualitativamente il grado dell'offesa rappresentando una escalation nell'aggressione fisica e psicologica messa in atto nei mesi precedenti. In particolare, l'imputato soffocava ripetutamente la donna fino allo svenimento, costringendola ad avere rapporti sessuali a cui ella acconsente per evitare ulteriori violenze; le imponeva di restare nuda sotto la doccia fredda, percuotendola con un cucchiaino di acciaio e minacciando lei e i suoi figli.
Proprio all'interno di questo secondo segmento temporale, la Cassazione individua un frammento di vita concreto che ha poi consentito alla condotta, già ormai consumata di maltrattamenti, di evolversi verso il reato di tortura: l'imputato, dopo aver riscaldato una forchetta sul fornellino, marchiava la donna causandole una ustione di primo grado con annesso segno indelebile sulla pelle.
Ad avviso degli Ermellini, tale condotta richiama il gesto della marchiatura di un animale su cui si esercita tendenzialmente un diritto di proprietà ex art. 832 del c.c.. A tale uopo, non è tanto la causazione del dolore fisico o morale a rappresentare il quid pluris dell'offesa, ma l'annientamento della dignità umana attraverso la paura del dolore che si traduce nell'asservimento della persona umana e, di conseguenza, nell'arbitraria negazione dei suoi diritti fondamentali e inviolabili.
Così riepilogata la vicenda, sotto il profilo giuridico la Cassazione ha risolto il problema facendo applicazione del criterio che comporta il raffronto strutturale tra le fattispecie in commento. In particolare, il giudice di legittimità ha concluso per l'impossibilità di individuare una norma prevalente sull'altra, tale da escludere il concorso tra i due reati. A tale uopo, il criterio della consunzione può ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le due norme che risulta generalmente dalla comparazione degli elementi costitutivi che concorrono astrattamente a definirle. Nel caso di specie, tuttavia, appare ictu oculi l'eterogeneità dei due reati, posto che mentre per integrare il reato di cui all'art. 572 c.p. assumono rilievo, in quanto reato abituale proprio, anche fatti non penalmente rilevanti, ai fini del delitto ex art. 613 c.p. rilevano solo fatti che costituiscano di per sè reato e che si caratterizzino per la loro gravità e idoneità a produrre acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico.
Nel caso di specie, dunque, il disvalore della condotta non può essere assorbito dal solo segmento temporale integrante il delitto di tortura, poichè così opinando non si darebbe rilevanza a quelle condotte anteriori non ancora qualificabili come violenze o minacce gravi ma che comunque sono idonee a pregiudicare il bene protetto dall'art. 572 c.p.. Per l'effetto, la Corte di Cassazione giunge alla corretta soluzione di configurare il concorso materiale tra i due reati in analisi, aprendo le porte alla possibilità di rafforzare la tutela penale in casi caratterizzati da contesti particolarmente violenti e degradanti.