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Non si configura il reato di illecito trattamento dei dati in assenza di prove circa l’effettiva lesione dell’interesse protetto

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Non si configura il reato di illecito trattamento dei dati in assenza di prove circa l’effettiva lesione dell’interesse protetto
Confermata la natura eterogenea del "nocumento" quale elemento costitutivo della violazione della privacy.
Di rilevante importanza appare la sentenza n. 23808/2019 della Corte di Cassazione, in materia di diffusione di dati sensibili, ai sensi e per gli effetti del c.d. Codice della privacy di cui al D. lgs. 196/2003.
La fattispecie concreta trova origine nell’ambito di una controversia civile, ove una delle parti in causa, genitore dell’opponente, rivelava le condizioni di salute del proprio figlio. Ciò al fine di dimostrare l’insussistenza di crediti vantati dalla controparte ed ottenere il soddisfacimento delle proprie ragioni.
Il padre veniva tratto in giudizio e condannato in primo grado per il reato di cui all’art. 167, D. lgs. 196/2003 avendo utilizzato dati personali, relativi allo stato di salute, in assenza di consenso del titolare (figlio).
Il condannato impugnava tale sentenza e la Corte di Appello di Firenze, successivamente, riformava la stessa, assolvendo l’imputato dal reato ascrittogli.
Il figlio dell’imputato, titolare del trattamento, proponeva, tuttavia, ricorso per Cassazione avverso tale decisione. Con esso si lamentava la violazione di legge ed il vizio di motivazione, atteso che il trattamento illecito dei dati di cui sopra, per il tramite della diffusione di documentazione in sede processuale, integrerebbe l’elemento del “nocumento” della persona offesa.
Nella specie tale nocumento avrebbe cagionato tanto un danno non patrimoniale, a causa della diffusione di dati effettivamente sensibili, quanto un danno patrimoniale, atteso che il convenuto-titolare del trattamento sarebbe stato costretto di conseguenza ad accettare una composizione bonaria della lite civile per evitare di soccombere in giudizio. Secondo il ricorrente, la diffusione di tale documentazione era avvenuta in maniera generalizzata, coinvolgendo una folta schiera di destinatari (giudice, cancellieri, avvocati e praticanti avvocati) al punto da compromettergli la possibilità di un reinserimento lavorativo.
Con la citata sentenza i giudici di legittimità hanno ritenuto il ricorso inammissibile.
Il Supremo Consesso ha rilevato, anzitutto, la correttezza della decisione appellata.
Con questa veniva evidenziato che, pur ritenendo non scriminata dall’esercizio del diritto di difesa in giudizio la condotta tipica di diffusione illecita dei dati, non si configurava oltremodo il c.d. nocumento per il ricorrente, quale presupposto del reato addebitato.
La Corte, infatti, ha richiamato l’evoluzione giurisprudenziale sul punto, individuando un orientamento, ad oggi costante, che impone la necessaria sussistenza del nocumento come elemento costitutivo di detto reato. Tale nocumento deve essere previsto e voluto o, comunque, accettato dall’agente, come conseguenza della propria azione, e può essere inteso come pregiudizio dalla plurima natura, patrimoniale o non patrimoniale.
In quest’ottica, è stata esclusa la sussistenza di detto elemento, atteso che non era stata dimostrata, né tantomeno prospettata, la diffusione dei documenti concernenti la salute del ricorrente a soggetti non rientranti nella categoria di quelli operanti nel settore giudiziario; soggetti che, essendo venuti a conoscenza di tali dati per ragioni professionali, erano, ad ogni modo, vincolati ad un generale obbligo di riservatezza.
Ha rilevato, inoltre, la Corte, che la condotta incriminata, per il tramite della produzione di CD contenenti foto e filmati che riguardano altre persone, anche alla luce di precedenti arresti (Sez. 3, n. 35553 del 11/5/2017, P.C. in proc. Fumagalli), debba essere ricondotta alla nozione di “comunicazione” di dati, che possono conseguentemente essere fruiti da un circoscritto numero di individui.

Alla luce di quanto poc’anzi osservato, il Supremo Consesso ha statuito che il nocumento richiesto per la sussistenza del reato previsto dall’art. 167 d.lgs. 196/2003 “non può ritenersi sussistente, in caso di produzione in un giudizio civile di documenti contenenti dati personali, ancorché effettuata al di fuori dei limiti consentiti per il corretto esercizio del diritto di difesa, in assenza di elementi fattuali oggettivamente indicativi di una effettiva lesione dell’interesse protetto, trattandosi di informazioni la cui cognizione è normalmente riservata e circoscritta ai soli soggetti professionalmente coinvolti nella vicenda processuale, sui quali incombe un obbligo di riservatezza”.


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