Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Trieste, in accoglimento della domanda proposta da alcuni condomini, “aveva accertato il diritto degli stessi, ai sensi della L. 9 gennaio 1989, n. 13, art. 2, ad installare un ascensore occupando una parte del sedime del giardino comune, a ridosso della facciata, ove è ubicato il portone d'ingresso del Condominio”.
In particolare, la domanda era stata proposta dai condomini a seguito del “rigetto espresso due volte dall'assemblea condominiale alla proposta di installazione dell'ascensore e deduceva la difficoltà di deambulazione di due condomine”.
La Corte d'Appello, in riforma della sentenza di primo grado, aveva rigettato le domande dei condomini, osservando che l’ascensore era un manufatto diverso dal servoscala o da altre “strutture mobili e facilmente amovibili”, di cui alla legge b, 13/1989 e che l’ascensore stesso non avrebbe comunque consentito alle condomine di “raggiungere senza problemi i rispettivi appartamenti, dovendo fermarsi sul pianerottolo dell'interpiano con dieci gradini da percorrere a piedi”.
La Corte d’appello, dunque, riteneva che l'installazione dell'ascensore violasse l’art. 1102 cod. civ. e, in particolare, la “destinazione a giardino dell'area comune”, evidenziando che l’installazione stessa richiedeva il consenso dell’assemblea condominiale, espresso con il quorum di cui all’art. 1136 cod. civ. (numero di voti corrispondente alla maggioranza degli intervenuti e ad almeno la metà del valore dell’edificio).
Ritenendo la decisione ingiusta, i condomini in questione proponevano ricorso per Cassazione, al fine di ottenere l’annullamento della sentenza di secondo grado.
La Corte di Cassazione, in effetti, riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dai ricorrenti, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.
Secondo la Cassazione, infatti, la decisione della Corte d’appello si poneva in contrasto con il consolidato orientamento della stessa Corte di Cassazione, “secondo cui l'installazione di un ascensore rientra fra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche, di cui alla L. 3 marzo 1971, n. 118, art. 27, comma 1, e al D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384, art. 1, comma 1, e perciò costituisce innovazione che, ai sensi della L. 2 gennaio 1989, n. 13, art. 2, è approvata dall'assemblea con la maggioranza prescritta dall'art. 1136 c.c., comma 2”.
Evidenziava la Cassazione, in particolare, che la stessa L. n. 13 del 1989 “stabilisce che, nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni aventi per oggetto le innovazioni volte all'eliminazione delle barriere architettoniche, i portatori di handicap possono installare, a proprie spese, le strutture occorrenti al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages”.
Osservava la Corte, infatti, che “l'installazione di un ascensore, allo scopo dell'eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata su parte di aree comuni (nella specie, un'area destinata a giardino), deve considerarsi indispensabile ai fini dell'accessibilità dell'edificio e della reale abitabilità dell'appartamento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell'art. 1102 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14096 del 03/08/2012)”.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dai condomini ricorrenti, annullando la sentenza di secondo grado e rimettendo la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima decidesse nuovamente sulla questione, in base ai principi sopra enunciati.