Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Lecce aveva confermato la sentenza del Tribunale che aveva condannato un imputato responsabile dei reati di minacce (art. 612 c.p.), violenza privata (art. 610 c.p.) e maltrattamenti (art. 572 c.p.), commessi in danno della moglie.
Ritenendo la decisione ingiusta, l’imputato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza di condanna.
Secondo il ricorrente, infatti, il giudice avrebbe basato la propria decisione di condanna solo sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, che non poteva essere considerata attendibile.
Osservava il condannato, inoltre, che la versione dei fatti alternativa che egli aveva fornito, era stata confermata dalle dichiarazioni rese dai testimoni nel corso del processo e anche dal contenuto di una lettera indirizzata all’imputato dalla moglie stessa.
Secondo il ricorrente, dunque, poiché non era stata raggiunta la certezza in merito a nessuna delle due tesi alternative, il giudice avrebbe dovuto, nel dubbio, assolvere l’imputato.
Rilevava il ricorrente, inoltre, che il reato di maltrattamenti non era configurabile, dal momento che non poteva essere considerato un “maltrattamento” l’aver avuto una relazione extraconiugale, a prescindere dal fatto che l’amante fosse stata presente nel momento in cui i Carabinieri si sono recati presso l’abitazione dell’imputato, a seguito della denuncia presentata dalla moglie.
La Corte di Cassazione, tuttavia, riteneva di dover annullare solo parzialmente la sentenza della Corte d’appello, confermandola per quanto riguardava il reato di maltrattamenti.
Osservava la Cassazione, in particolare, che il reato di maltrattamenti, di cui all’art. 572 cod. pen., presuppone “la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili (atti di infedeltà, di umiliazione generica, etc.) ovvero non perseguibili (percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela), idonei a cagionare nella vittima durevoli sofferenze fisiche e morali”.
Nel caso di specie, dunque, la Corte d’appello aveva correttamente condannato l’imputato, “constatando come la condotta di violenza e di sopraffazione che l'imputato ha inflitto a sua moglie (intrattenere rapporti sessuali con l'amante all'interno della casa coniugale imponendo alla moglie l'accettazione di tale stato di fatto con gravi minacce) abbia trovato riscontro anche nella relazione di servizio del 11.6.2011 e nel chiaro contenuto delle conversazioni telefoniche intercorse tra l'imputato e la persona offesa”.
Precisava la Cassazione, in proposito, “che le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone”.
Poiché, nel caso di specie, la Corte d’appello non aveva avuto motivo di ritenere inattendibile la persona offesa, la decisione di condanna non poteva in alcun modo essere contestata.
Ad ogni modo, secondo la Cassazione, la condanna per maltrattamenti assorbiva gli altri reati contestati (violenza privata e minacce), dal momento che la condotta contestata era sempre la stessa.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione confermava la condanna dell’imputato per maltrattamenti, dichiarando assorbiti nello stesso gli altri reati contestati di violenza privata e minacce.