Una recentissima pronuncia della Corte di Giustizia dell'Unione Europea è destinata a cambiare i contratti e i rapporti di lavoro domestico, anche in Italia. Colf, badanti, baby sitter - ossia la generalità degli assistenti domestici - dovranno timbrare il cartellino, in modo da registrare la presenza e misurare la durata effettiva dell'orario di lavoro giornaliero. Il loro datore di lavoro dovrà quindi predisporre un sistema ad hoc, che consenta l'appena citata timbratura al collaboratore o ai collaboratori assunti. Ben lungi dall'essere una pronuncia di mero rilievo per le parti, quella giunta sulla causa C-531/23 (Loredas) è una decisione che afferma un principio valevole in tutti gli Stati membri UE.
Nel caso concreto finito all'attenzione dei giudici europei, una collaboratrice domestica assunta a tempo pieno aveva impugnato il suo licenziamento presso il tribunale del lavoro spagnolo. Poiché il recesso unilaterale è stato dichiarato illegittimo, la sentenza della Corte di Giustizia rimarca che i suoi datori di lavoro sono stati condannati a pagarle alcune somme a titolo di giorni di ferie non godute e di ore di lavoro straordinario. Tuttavia, il ricorso è stato accolto solo parzialmente, perché la magistratura spagnola ha ritenuto che la lavoratrice non avesse provato né le ore di lavoro effettuate, né la retribuzione da lei richiesta. Infatti le pretese della donna non potevano essere dimostrate sulla sola scorta della mancata produzione, da parte dei convenuti nel procedimento principale, dei registri giornalieri dell’orario di lavoro effettuato dalla lavoratrice, in quanto - si legge nella sentenza - la normativa spagnola e, in particolare, "il regio decreto 1620/2011 esenta taluni datori di lavoro, tra i quali si annoverano le famiglie, dall’obbligo di registrazione dell’orario di lavoro effettivo svolto dai loro dipendenti".
Contro la decisione di primo grado, la donna ha proseguito la disputa giudiziaria in appello. Nutrendo dubbi in merito alla compatibilità della normativa speciale per i lavoratori domestici con il diritto dell'Unione, la magistratura spagnola di secondo grado ha chiesto alla Corte di giustizia di pronunciarsi in merito, con la c.d. domanda di pronuncia pregiudiziale.
E proprio il giudice europeo ha colto così l'occasione per ricordare che già nel 2019 - nella sentenza CCOO, C-15/18 - esso stesso aveva dichiarato contrarie alla direttiva 2003/88/CE sull'organizzazione dell'orario di lavoro sia la normativa spagnola, allora in vigore, che l'interpretazione di quest'ultima da parte dei giudici nazionali. La magistratura, infatti, sosteneva che i datori di lavoro non fossero tenuti a istituire un sistema che consentisse di misurare la durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore.
Dopo quella pronuncia della Corte di Giustizia UE, il legislatore spagnolo ha imposto ai datori di lavoro l'obbligo di prevedere un sistema di registrazione delle ore di lavoro effettivamente svolte. Nella sentenza sulla causa C-531/23 (Loredas) il giudice con sede a Lussemburgo ha, inoltre, ricordato che tutte le autorità degli Stati membri, compresi gli organi giurisdizionali, sono tenute a contribuire al conseguimento del risultato previsto dalle direttive. Anzi, l'interpretazione di una disposizione nazionale da parte dei giudici o una prassi amministrativa, che esonerino i datori di lavoro dal dovere di istituire un sistema di timbratura del cartellino in riferimento ai collaboratori domestici, manifestamente non rispettano la direttiva sull'organizzazione dell'orario di lavoro.
Ricapitolando, il rinvio pregiudiziale, che abbiamo appena visto, consente ai giudici degli Stati membri - nell'ambito di una controversia della quale sono investiti - di interpellare la Corte di Giustizia UE. In particolare quest'ultima:
Nel caso concreto finito all'attenzione dei giudici europei, una collaboratrice domestica assunta a tempo pieno aveva impugnato il suo licenziamento presso il tribunale del lavoro spagnolo. Poiché il recesso unilaterale è stato dichiarato illegittimo, la sentenza della Corte di Giustizia rimarca che i suoi datori di lavoro sono stati condannati a pagarle alcune somme a titolo di giorni di ferie non godute e di ore di lavoro straordinario. Tuttavia, il ricorso è stato accolto solo parzialmente, perché la magistratura spagnola ha ritenuto che la lavoratrice non avesse provato né le ore di lavoro effettuate, né la retribuzione da lei richiesta. Infatti le pretese della donna non potevano essere dimostrate sulla sola scorta della mancata produzione, da parte dei convenuti nel procedimento principale, dei registri giornalieri dell’orario di lavoro effettuato dalla lavoratrice, in quanto - si legge nella sentenza - la normativa spagnola e, in particolare, "il regio decreto 1620/2011 esenta taluni datori di lavoro, tra i quali si annoverano le famiglie, dall’obbligo di registrazione dell’orario di lavoro effettivo svolto dai loro dipendenti".
Contro la decisione di primo grado, la donna ha proseguito la disputa giudiziaria in appello. Nutrendo dubbi in merito alla compatibilità della normativa speciale per i lavoratori domestici con il diritto dell'Unione, la magistratura spagnola di secondo grado ha chiesto alla Corte di giustizia di pronunciarsi in merito, con la c.d. domanda di pronuncia pregiudiziale.
E proprio il giudice europeo ha colto così l'occasione per ricordare che già nel 2019 - nella sentenza CCOO, C-15/18 - esso stesso aveva dichiarato contrarie alla direttiva 2003/88/CE sull'organizzazione dell'orario di lavoro sia la normativa spagnola, allora in vigore, che l'interpretazione di quest'ultima da parte dei giudici nazionali. La magistratura, infatti, sosteneva che i datori di lavoro non fossero tenuti a istituire un sistema che consentisse di misurare la durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore.
Dopo quella pronuncia della Corte di Giustizia UE, il legislatore spagnolo ha imposto ai datori di lavoro l'obbligo di prevedere un sistema di registrazione delle ore di lavoro effettivamente svolte. Nella sentenza sulla causa C-531/23 (Loredas) il giudice con sede a Lussemburgo ha, inoltre, ricordato che tutte le autorità degli Stati membri, compresi gli organi giurisdizionali, sono tenute a contribuire al conseguimento del risultato previsto dalle direttive. Anzi, l'interpretazione di una disposizione nazionale da parte dei giudici o una prassi amministrativa, che esonerino i datori di lavoro dal dovere di istituire un sistema di timbratura del cartellino in riferimento ai collaboratori domestici, manifestamente non rispettano la direttiva sull'organizzazione dell'orario di lavoro.
Ricapitolando, il rinvio pregiudiziale, che abbiamo appena visto, consente ai giudici degli Stati membri - nell'ambito di una controversia della quale sono investiti - di interpellare la Corte di Giustizia UE. In particolare quest'ultima:
- si esprimerà in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione;
- non risolverà la controversia nazionale, perché sarà compito del giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte;
- vincolerà tutti gli altri giudici di Stati membri UE, a cui sia sottoposto un problema simile.
In conclusione, spiega la Corte, se la legge nazionale - compresa quella italiana - esonera dall'obbligo di registrazione delle ore di lavoro effettivamente svolte, di fatto vìola la direttiva UE del 2003, poiché i lavoratori domestici si vedono privati della possibilità di determinare, in modo obiettivo e affidabile, il numero di ore di lavoro effettuate e la loro suddivisione nel tempo. Come intuibile, ciò potrebbe influire negativamente sulla fondatezza delle richieste, ad esempio di versamento di mensilità arretrate di stipendio.
Ecco perché, in base alla normativa europea, anche i datori di lavoro domestico in Italia dovranno adeguarsi alle regole comunitarie, pur in assenza di una legge nazionale specifica che imponga l'obbligo di timbrare il cartellino per colf e badanti.
Tuttavia è possibile - aggiunge la Corte Ue nella sentenza sulla causa C-531/23 - disporre speciali deroghe per quanto riguarda le ore di lavoro straordinario e il lavoro a tempo parziale, a patto che sia effettivamente garantita la durata massima settimanale del lavoro e non si svuoti di contenuto la normativa dell'Unione.
Ecco perché, in base alla normativa europea, anche i datori di lavoro domestico in Italia dovranno adeguarsi alle regole comunitarie, pur in assenza di una legge nazionale specifica che imponga l'obbligo di timbrare il cartellino per colf e badanti.
Tuttavia è possibile - aggiunge la Corte Ue nella sentenza sulla causa C-531/23 - disporre speciali deroghe per quanto riguarda le ore di lavoro straordinario e il lavoro a tempo parziale, a patto che sia effettivamente garantita la durata massima settimanale del lavoro e non si svuoti di contenuto la normativa dell'Unione.